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martedì 4 gennaio 2011
Internet e società.
Via Vai magazine ha molte fortune, e, tra le tante anche quella di avere un sociologo doc che scrive sulle sua pagine.
Questo mese, volto all’ossservazone di internet e le sue ricadute sociali, chi meglio di Max Cipelletti può aiutarci a comprendere e fornirci un ulteriore punto di vista?
Ecco le domande che gli ho voluto porgere e vedrete che le risposte non sono per nulla scontate.
Massimo, cos'è per te internet e quanto la utilizzi?
Un potente strumento limitato, necessario per scambiarsi informazioni di ogni tipo, a seconda delle esigenze e degli interessi. Dico limitato perché, nonostante la nostra comune impressione che la “rete” ci fornisca tutto e più di tutto, in tempo reale, mancano le emozioni; non si colgono le sfumature e sono completamente assenti i toni. Per questo motivo rimango un fermo sostenitore della comunicazione diretta, vis a vis, face to face: la più potente e la più naturale. Certamente la più difficile, giacché dobbiamo esporci in prima persona, ma la più umana; e noi nasciamo umani.
Dal tuo angolo di osservazione sociologico, qual è il suo posizionamento nella società contemporanea?
Internet è divenuta la “prima donna” nel film della vita di molti. Intendo sostenere che ha un ruolo dominante – con tutte le dovute sfumature casistiche nell’utilizzo – in moltissime persone dalle quali non ci si sarebbe mai attesi un avvicinamento a mezzi così contemporanei. Diciamo che è quindi una star, data, però, in pasto al popolo, e quindi generatrice di moltissime distorsioni, presunte verità e interpretazioni nell’approccio alla realtà. Per un uso imbevuto di raziocinio è indispensabile possedere e mantener vivo un senso critico: elemento in via d’estinzione.
Come vedi il fenomeno del citizen journalism (o giornalismo partecipativo), ci sono più rischi o aspetti positivi nel suo sviluppo?
Se dovessi darti una risposta, stando alla moda attuale, dovrei dirti che la difesa di tale fenomeno è sacrosanta perché è l’unico modo per combattere l’informazione pilotata, politicizzata, ecc. ecc. Quindi per non cadere in un’opinione inflazionata ed influenzata dalla tendenza esasperata al politically correct, dico che se il “giornalismo partecipativo” è la democratica possibilità di fornire il proprio contributo ed esprimere la personale opinione, è un progresso positivo; mentre se, per esempio, si considera qualsiasi intervento senza un termometro qualitativo, allora ci sono dei netti rischi da evitare. La differenza, anche in questo scenario, la fanno il senso critico e l’obiettività.
Come inquadrare le micro web tv?
Dipende da quante telecamere si hanno a disposizione… Scherzi a parte, io le vedo bene poiché, nei limiti sopra citati, riescono a trasmettere il maggior numero di emozioni in internet, quindi rappresentano il livello di vita più alto nel mondo della “rete”. Mentre la fotografia rappresenta la condizione più privata di noi, la tv, e quindi i video (si veda il fenomeno di Youtube), appartengono alla dimensione più pubblica. Inoltre le micro web tv dimostrano un principio: l’inserimento di un mezzo oramai storico, come la tv, in un contesto più recente. Una tarda avanguardia.
Ritieni importante geolocalizzare siti e notizie in internet?
Questo è un tema delicato e complesso; esiste un compromesso – non raggiunto – fra rispetto delle identità ed apertura alla mondializzazione. Ci può essere tutto e di più in internet, ed è giusto sia così, il limite sta nell’acquisire o mantenere degli orizzonti culturali ampi senza annullare le identità specifiche, bensì preservandole e dando loro continuità. Il rischio, sia in internet, sia nella realtà, non è che si crei un’identità globale, peraltro già esistente, dacché una in più ci arricchisce culturalmente, ma piuttosto che essa soffochi le sue matrici; quelle identità dalle quali si è generata. Sono convinto che le differenze siano una ricchezza.
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