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giovedì 29 luglio 2010

Sposa e fiori



















Sposa e fiori, un connubio irrinunciabile
di Patrizia Landini

Non si può immaginare una sposa senza il suo buoquet: che sia tondeggiante, a cascata, colorato o bianco, il bouquet è una parte fondamentale dell’abito della sposa.
Pezzo unico, è bene che sia realizzato con fiori diversi da quelli utilizzati per l’addobbo della chiesa o per gli allestimenti al ricevimento.
Naturalmente, anche nella composizione del bouquet esistono delle regole "non scritte" ma che è sempre bene seguire e queste regole si riferiscono alla forma, ai fiori che lo compongono e al loro colore.
Un buon bouquet deve essere bello, originale, in tono con la mise della sposa, ma deve avere anche alcune caratteristiche fondamentali: non deve sporcare l'abito o i guanti, deve durare tutta la giornata, essere facilmente impugnato e non troppo pesante.
Il consiglio che sento di dare è quello di rivolgersi sempre ad un florist di nostra conoscenza che magari sia strutturato per offrire anche il servizio dell’addobbo della chiesa o della location dove intendiamo poi festeggiare.
Quanto alla scelta dei fiori da utilizzare, essa dipende innanzitutto dalla stagionalità delle specie, anche se sono reperibili sul mercato un po’ tutti i generi di fiori.

Mi raccomando al colore dei fiori scelti, poiché abito e bouquet vanno abbinati con sobria armonia.
Con un abito bianco è meglio propendere per fiori lattei, della stessa tonalità del vestito.

Se l’abito fosse avorio, i fiori dovrebbero essere panna.
Appunto, se utilizziamo fiori candidi, possiamo mescolare tinte pastello come rosa e giallo pallido, ma, io oserei anche con tonalità più accese accostando qualche fiore colorato e insolito, pur sempre in modica quantità.
In ogni caso, tenete a mente che con un abito lungo, tradizionale, magari con lo strascico, il buoquet deve essere allungato verso il basso, cascante e formato da fiori di piccole dimensioni.
Con il tailleur o un abito al ginocchio, deve essere tondeggiante e compatto, composto da fiori piccoli e leggiadri e, magari, nastri in tinta con l’abito.
Aperto e voluminoso, composto anche solo da calle o da rose, è perfetto per una sposa romantica.

Si può considerare anche un buoquet a fascio, da portare appoggiato al braccio e composto da fiori piuttosto lunghi, in questo caso l’abito deve essere semplicissimo.
Per chi indossa una creazione moderna, si può osare un bouquet a forma di palla, davvero originale perché si porta appeso al polso con un nastro di seta. In questo caso si possono azzardare colori vivaci e fiori come piccoli tulipani, calle, roselline

Per tradizione, il bouquet viene consegnato dallo sposo stesso, ma può arrivare direttamente a casa della sposa dal fiorista.
Consuetudine vuole che, conclusa la cerimonia, lo si lanci alle invitate che saranno in attesa alle vostra spalle: è di buon auspicio per chi lo riceve al volo.

lunedì 19 luglio 2010

Il buono e il cattivo...proprietario di animali


















IL BUONO E IL CATTIVO…PROPRIETARIO DI ANIMALI

di GianMaria Collicelli


Nell’universo degli animali, alla voce cani siamo abituati a trovare moltissime specie, oltre trecento quelle ufficiali, diverse nel carattere e nella fisionomia.
Alla voce proprietari di animali, invece, ci si può stupire di trovarsi di fronte a “razze” diverse, cioè quelle che distinguono il buono e il cattivo detentore di animali. Secondo il ministero della Salute italiano, infatti, c’è il proprietario di animali, in questo caso di cani, ma anche il buon proprietario e il cattivo proprietario.
Aggiungo che non sono criteri giuridicamente rilevanti, e nemmeno categorici o infamanti.
Semplicemente, il ministero della Salute pubblica ha prodotto un’ordinanza per la “Tutela dell’incolumità pubblica e dall’aggressione dei cani”, emanata a marzo dello scorso anno e firmata dal sottosegretario alla Salute pubblica, Francesca Martini, nella quale si elencano gli obblighi a cui è chiamato a rispondere chiunque sia responsabile di un animale da compagnia, come appunto un cane.
A margine di quest’ordinanza, inoltre, gli autori hanno voluto pubblicare sul sito del ministero (www.salute.gov.it) una sezione dedicata agli animali domestici, alla voce Cani, gatti e… in cui hanno reso disponibile un manuale per diffondere la conoscenza sulle buone norme che, oltre ai doveri legislativi, ogni proprietario di animali dovrebbe conoscere e, sperano, rispettare.
Prendere un cane, per esempio, di per sé è abbastanza semplice.

Ma quali doveri implica?
Cosa devo avere sempre con me?
Come devo comportarmi con il mio cane per strada, in città, nei parchi giochi?
Sono sempre responsabile del comportamento dell’animale e a chi devo rivolgermi in caso di particolari problemi?
Domande pratiche della vita di ogni giorno, che spesso non ci si pone davanti al sorriso che sembra regalarci il nostro cucciolo, e si affacciano alla nostra mente quando ormai è troppo tardi, davanti alla sanzione, al danno compiuto o al pericoloso inconveniente.

I DOVERI DEL PROPRIETARIO

Secondo la legge, gli obblighi del proprietario del cane sono diversi:
• GUINZAGLIO e MUSERUOLA
E’ obbligatorio, nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico, utilizzare un guinzaglio di lunghezza massima di 1,50 metri.
La museruola, rigida o morbida, deve essere portata con sé in caso di rischio per l’incolumità delle persone, di altri animali, e potrebbe essere richiesta dalle autorità competenti.
• INTERVENTI CHIRURGICI
Non è permesso effettuare interventi chirurgici sull’animale, tali da modificarne la morfologia, come recisione delle corde vocali, taglio delle orecchie o della coda, fatti salvi gli interventi curativi certificati dal medico veterinario.
• PATENTINO
Comune, Asl e l’Ordine professionale dei medici veterinari, hanno organizzato dei percorsi formativi facoltativi per l’ottenimento di un patentino, che diventano obbligatori per i proprietari di cani considerati impegnativi.
Le spese per i percorsi formativi sono a carico del proprietario del cane, che è chiamato dal Comune ad assolvere l’obbligo di ottenere tale certificazione.
• CANI DA “BLACK LIST”
Non esiste alcuna “black list” delle razze di cani considerati a priori impegnativi o pericolosi, come si era ipotizzato di recente.
Il medico veterinario, nell’interesse della salute pubblica e in base alla verifica concreta di ogni caso, seganala ai Servizi Veterinari locali la presenza di cani impegnativi tra i suoi assistiti, informando il proprietario dell’animale sulla disponibilità dei corsi di formazione, in questo caso obbligatori.
• AFFIDAMENTO
E’ vietato registrare animali da compagnia a nome di persone minorenni, interdetti o inabili per infermità mentale.
• DECORO URBANO
Il proprietario che conduce il cane in ambito urbano è tenuto, per legge, a raccoglierne le feci, e ad avere con sé gli strumenti idonei a tale scopo.

IL CATTIVO PROPRIETARIO
Nel documento del ministero sono specificate tutte le attività vietate per legge ai proprietari degli animali da compagnia, in difesa dell’incolumità pubblica e come prevenzione alle aggressioni. E’ perciò vietato, per legge:
I. L’addestramento del cane volto a esaltarne l’aggressività.
II. Compiere operazioni di selezione o incrocio di cani con lo scopo di renderli più aggressivi.
III. Sottoporre i cani a pratiche di doping o interventi chirurgici finalizzati a modificarne la morfologia, come taglio delle orecchie, della coda, o la recisione delle corde vocali, ma anche la castrazione nei casi non necessari.
IV. Registrare un animale da compagnia a nome di persone considerate delinquenti abituali, o a nome di chi sia sottoposto a misure di prevenzione personale e a misure di sicurezza personale.

IL BUON PROPRIETARIO
A tutte queste norme obbligatorie per legge, che creano la figura del proprietario del cane agli occhi dell’autorità, si aggiungono le buone regole, cioè tutte quelle pratiche utili al fine di potersi fidare del proprio animale e condurlo in tutta serenità nei contatti con le persone o con altri esemplari.
Il buon proprietario, secondo il manuale pubblicato dal ministero, è quindi colui che:
1. Si informa sulla formazione del proprio cane, sul suo pedigree, sulle caratteristiche della sua indole e i problemi fisici ai quali è esposto più di frequente.
2. Iscrive il proprio animale, nel caso del cane, all’anagrafe canina.
3. Non lascia mai un cane incustodito in presenza di bambini.
4. Effettua regolari controlli del proprio animale da un medico veterinario, in modo da seguire un’adeguata profilassi vaccinale e antiparassitaria.
5. Prende provvedimenti per evitare cucciolate indesiderate.
6. Considera l’opportunità di sottoscrivere un’assicurazione verso eventuali danni recati dal proprio animale, perché in qualsiasi caso il proprietario ne è responsabile, sotto tutti i punti di vista.

giovedì 15 luglio 2010

Posta certificata, facciamo chiarezza.

















Posta certificata per tutti!!



I rapporti tra cittadini e pubbliche amministrazioni risultano spesso complicati e rallentati da una serie di fattori, ad es. le lunghe code agli sportelli ed i non sempre agevoli adempimenti burocratici.

Negli ultimi anni, però, è stato avviato anche per le P.A. (Pubbliche Amministrazioni) un processo di maggiore semplificazione di tali rapporti, partendo dalla c.d. “dematerializzazione”. Si è trattato, infatti, di sostituire parte degli archivi costituiti da documentazione cartacea, con documenti informatici, realizzando una sorta di trasformazione dei documenti con il passaggio da una consistenza materiale ad una virtuale.
Come sostiene il CNIPA (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione), la gestione “digitale” dei documenti comporta una serie di risparmi diretti (carta, spazi, ecc.) e indiretti (tempo, efficienza, ecc.), e permette di evitare quelli che sono i principali difetti della gestione cartacea (difficoltà di condivisione e archiviazione, eccessiva onerosità, tempi di ricerca elevati, facilità di errori e smarrimenti).
E proprio all’interno di questo processo di dematerializzazione si inserisce il Progetto Posta Certificat@ che prevede la possibilità per tutti i cittadini di attivare gratuitamente una casella di posta elettronica certificata per comunicare con le pubbliche amministrazioni.

In generale la PEC (Posta Elettronica Certificata) è uno strumento molto utile che permette di attribuire ad una e-mail lo stesso valore legale di una raccomandata a/r, ma con alcuni vantaggi in più in termini di tempo (l’invio è praticamente immediato e la ricezione avviene quasi contemporaneamente), di costi (si risparmia carta e costo della raccomandata a/r) e di semplicità (è possibile inviare anche a più destinatari simultaneamente e da qualunque postazione dotata di connessione ad internet).
Nello specifico il Progetto Posta Certificat@ è un servizio di comunicazione elettronica esclusivamente tra cittadini e pubblica amministrazione: 50 milioni di caselle di PEC sono pronte per essere attivate su richiesta di chiunque sia interessato.

In questo modo sarà possibile inviare, richiedere e ricevere informazioni o documentazione varia dagli uffici pubblici, il tutto attraverso “comunicazioni ufficiali” delle quali il mittente può avere una certificazione, cioè la prova legale dell’invio e della ricezione (l’e-mail si considera “consegnata” a prescindere dal fatto che il destinatario l’abbia effettivamente letta, per questo è molto importante ricordarsi sempre di controllare la propria casella).

In sostanza questa particolare casella Pec, che tecnicamente si chiama Cec-Pac (Comunicazione Elettronica Certificata tra la P.a. e il Cittadino), consente al cittadino di stabilire un canale di comunicazione semplice, diretto e sicuro con le pubbliche amministrazioni, risparmiando tempo ed evitando inutili spostamenti.
La versione base è gratuita e prevede una casella di posta elettronica certificata della dimensione di 250MB, il servizio opzionale di notifica tramite posta elettronica tradizionale (ad es. delle ricevute di accettazione e consegna conseguenti un invio), un fascicolo elettronico personale con capacità di memorizzazione di 500MB, nonché l’indirizzario di tutte le p.a. provviste di pec (che ad oggi, purtroppo, sono meno della metà di tutte le amministrazioni centrali e locali ma si auspica che aumentino in breve tempo). Ci sono poi dei servizi avanzati che saranno attivabili a pagamento da chiunque ne faccia richiesta (es. firma digitale, libretto sanitario elettronico).
Il procedimento da seguire per ottenere questa casella PEC è suddiviso in due fasi. La prima parte è online: bisogna collegarsi al sito www.postacertificata.gov.it e seguire la procedura guidata, inserendo tutti i dati richiesti (es. dati anagrafici, contatti telefonici, indirizzo e-mail tradizionale) e scegliendo una password per effettuare l’accesso. Una volta compiuta la registrazione sul portale, si passa alla seconda fase di registrazione presso gli uffici postali abilitati all’identificazione, dove bisogna portare un documento valido di riconoscimento ed un documento comprovante il proprio codice fiscale (es. tessera sanitaria) per poter così firmare il contratto e l’informativa sulla privacy.
Nel caso desideriate aiuto per l’attivazione della vostra casella di Posta Elettronica Certificat@ gratuita, veniteci a trovare nella sede della Casa del Consumatore - Schio!

LA BUONA NOTIZIA : Si chiama ”Acquisto certificato. Agibilita’, sicurezza ed efficienza degli immobili” la guida presentata presso il Consiglio nazionale del notariato, frutto della collaborazione fra il notariato e 12 associazioni di consumatori (Adiconsum, Adoc, Altroconsumo, Assoutenti, Casa del Consumatore, Cittadinanzattiva, Confconsumatori, Federconsumatori, Lega consumatori, Movimento consumatori, Movimento difesa del cittadino, Unione nazionale consumatori) a tutela del cittadino.
La guida e’ dedicata alle nuove norme sulla certificazione energetica degli edifici ed è disponibile al link http://www.notariato.it/export/sites/default/it/notariato/chi-siamo/allegati-chi-siamo/guida_acquisto_certificato.pdf

lunedì 12 luglio 2010

Il rinascimento contemporaneo

















Il rinascimento contemporaneo
di Massimo Cipelletti
sociologo


Abbiamo dato inizio a questo nuovo secolo, nonché millennio, privi e privati di stimoli ed entusiasmi, in preda ad una valorizzazione dei saldi principi morali comuni che hanno concesso al secolo antecedente di costruire una società ed un corpo civile pensante di buonsenso.
Ci ritroviamo oggi, giovani e meno giovani, a dover gestire e riorganizzare un quid che è stato sfasciato dalla nostra stessa evoluzione; dalla bramosia di eccedere; dal trionfo dell’esasperato in qualsiasi sua forma ed espressione.
Mi mantengo, sinora, volutamente su di un fronte assolutamente generico, dacché qualsivoglia ambito è stato contaminato e frequentemente portato al di sopra delle proprie possibilità.

Se il Novecento ha dato molto, e molto rapidamente, le aspettative del Duemila sono di giorno in giorno disilluse; anzi celebriamo periodicamente il funerale del Novecento come se non avessimo più punti di riferimento, come fossimo quasi disorientati e questa nuova opportunità d’espressione umana non sapessimo da dove prenderla, poiché tutto ed il contrario di tutto è stato detto e fatto. Nell’arte, nella cultura, nella politica stessa.
Viviamo indiscutibilmente in un’era post-ideologica e credo fermamente necessario cogliere questa opportunità, anziché lamentarsene e darsi per perduti. Nessuno di noi è in attesa del nuovo e di ciò che sinora non si è visto o sentito: non ci sorprenderebbe più. Quello che realmente è indispensabile è un “Rinascimento contemporaneo”. Lo realizzò Andrea Palladio nell’architettura e tutt’oggi sappiamo quanto è visto e considerato come il punto di riferimento che diede la svolta dopo secoli bui. Così sento che, sia nella cultura che nella politica, di questo si necessiti: un “Rinascimento contemporaneo”, che a differenza del XV° e XVI° secoli, deve venire – prevalentemente e non esclusivamente – dal basso. Ma cos’è il “basso”, se non la comunità civile che volutamente mi piace chiamare comunità piuttosto che società, perché rappresenta un qualcosa di più umano, meno speculativo, meno orientato al profitto economico e maggiormente sociale. La partecipazione del singolo cittadino alla vita socio-politica diviene così fondamento di un equilibrio su cui poter costruire una vera società moderna evoluta del Terzo millennio.
Al centro va ricollocato l’essere umano, il cui insieme dà vita allo Stato, ed il conseguente obiettivo primario dev’essere il benessere comune e la dignità del singolo.

Il “Rinascimento contemporaneo” su matrice palladiana, va esteso alla politica e alla vita sociale, ripescando dalle nostre tradizioni ciò che ci appartiene, quello che ci ha educato e condotto sin qui, rileggendolo in chiave attuale, senza stravolgerlo, ma dandoci presente. Questo fece il più grande architetto di tutti i tempi, e se ancor oggidì è personaggio di riferimento per molti, auspico lo diventi anche per il mondo della politica e della socialità.
Non siamo dei replicanti ma degli innovatori di noi stessi. E lo si può realizzare solo se in noi alberga un’idea di grandezza che ci consenta di esprimerci ai massimi livelli qualitativi e non più quantitativi. Se ora siamo vittime di un vuoto sociale che potremmo abbinare ad un vuoto ideologico-culturale, vediamoli come un’opportunità per poter colmare, attraverso la preparazione, la cultura ed il buonsenso questi spazi che ci stanno soffocando senza ragione.
Sono profondamente convinto che anche in politica, il vivere nell’era post-ideologica non sia un male ma una naturale evoluzione che se sappiamo cogliere e gestire ci darà, a breve tempo, benefici inimmaginabili.
Lo stesso bipolarismo è la ricchezza di poter, finalmente, evitare compromessi vetusti alla politica italiana, fra micropartiti che non avranno più ragion d’essere; mentre ben vengano i dialoghi e le discussioni aperte all’interno di grandi poli politici, dove devono convergere e convivere sempre più fazioni, gruppi di pressione, identità culturali: questo è l’esempio che la politica deve dare al popolo, rispecchiandolo. Proprio perché la quotidianità è fatta di molteplici pensieri, visioni, opinioni in qualunque ambito, con il comune scopo di conquistare il compromesso. Questo sarà il sano compromesso che andremo cercando, denso di un buonsenso in via d’estinzione, ricco di valori condivisi, potente di un senso critico ed autocritico.

venerdì 9 luglio 2010

Alimentazione in estate


















E’ ARRIVATA L’ESTATE: FACCIAMO IL PIENO DI…SALUTE!
(prima parte)
Dr.ssa Loredana Circi
biologa nutrizionista email.loredana.circi@tiscali.it






Finalmente è arrivata l’estate e, assieme al caldo, la terra ci offre quanto di meglio può produrre. La natura si esprime con le sue massime potenzialità, non abbiamo più necessità di assumere alimenti cresciuti in serre o provenienti da altri continenti, basta osservare quindi orti , giardini e le campagne circostanti per capire di quali tesori abbiamo a disposizione. Parlo di tesori in quanto la frutta e la verdura di stagione sono dei veri e propri toccasana per la nostra salute in quanto ottimi fornitori di vitamine, fibre, oggi riscoperte per i loro effetti anticolesterolemici (riduzione del colesterolo "cattivo"), antitumorali e benefici nello stimolo della peristalsi intestinale, sali minerali come, tra gli altri, il selenio che secondo molte ricerche cliniche sono di fondamentale importanza nella prevenzione d'alcuni tumori (stomaco, colon), inoltre reintegrano l’acqua dissipata con il sudore e la traspirazione.
Dedichiamo quindi, nei nostri appuntamenti di luglio e agosto, un po' di attenzione per questi alimenti-tesori che troppo spesso vengono considerati "di contorno", convinti che, invece, dovrebbero essere messi ogni giorno al centro della nostra
tavola

La frutta è un alimento indispensabile a tutte le età e in tutte le stagioni e come tale non dovrebbe mai mancare nella dieta di ogni individuo. I maggiori vantaggi della frutta si hanno mangiandola al mattino o a merenda e quindi non in associazione con altri cibi, perché talvolta quando viene consumata a fine pasto, rimane a lungo nell'apparato digerente, e quindi può andare incontro, più facilmente alla fermentazione dei suoi zuccheri. Questa fermentazione spesso è responsabile dei cosiddetti "gonfiori gastrointestinali".
Cerchiamo, inoltre di consumare frutta di stagione e possibilmente fresca acquistandola da chi la ha appena colta oppure consumandola subito dopo l'acquisto.

Frutta e verdura possono essere assunti in vari modi, cruda, cotta, come spremute, centrifughe, cocktail, semplicemente al naturale, ma ovviamente in questa stagione privilegiamo il loro consumo a crudo perchè in questo modo si mantengono pressoché inalterate le caratteristiche organolettiche (il calore infatti nuoce alle vitamine, estremamente termolabili, la cottura in acqua, inoltre, disperde i Sali minerali contenuti in esse, impoverendo l’alimento).
Iniziando una mini rassegna della frutta e verdura di stagione, non si può non parlare delle Albicocche.
Il loro periodo di produzione e migliore per il consumo va da giugno ad agosto il frutto è una drupa carnosa, esternamente vellutato di colore giallo-arancio talvolta screziato di rosso, appartengono alla famiglia delle rosaceae, come le ciliegie, le prugne, le pesche,le fragole, le rose, le mandorle ecc. Le albicocche sono molto importanti perchè contengono una notevole quantità di carotenoidi che sono i precursori della Vitamina A.

Quindi si può dire che mangiare albicocche fa bene soprattutto d'estate, periodo in cui è fortemente consigliato il consumo, per chi sceglie di andare al mare, in quanto i capelli sono sottoposti a stress e risultano essere fragili ed opachi. Per ovviare a questi inconvenienti è necessaria proprio la Vitamina A. L’albicocca,oltre alle vitamine A,B2,B3 e C, contiene molto Potassio, oligoelementi che ci aiuta a combattere l’affaticamento muscolare e la stanchezza, l’albicocca è inoltre antianemica, 100 gr di questo frutto forniscono circa 33 Kcal, l’indice glicemico e basso e queste le rende consumabili anche dalle persone con problemi di diabete.
Il periodo di produzione e consumo migliore del Melone (Cocumis melo) ,invece, va da Maggio ad Agosto.
Il melone è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Cucurbitaceae, si pensa originaria dell'Asia Tropicale o dell'Africa
In commercio ne esistono 3 varietà che si distinguono tra loro per forma, colore della polpa e rugosità della buccia:i cantalupi: precoci, si presentano grandi e lisci, con la polpa arancione, maturano d'estate ed hanno breve conservazione; il retato: tondo, ha una buccia sottile e un marcato reticolo da cui prende il nome, ha la polpa giallo-verde e matura in estate; il melone invernale: è tardivo, ha una forma allungata di colore giallo, è poco profumato ma molto dolce.
È un frutto che fornisce poche calorie, dalle 20 alle 40 kcal/100 gr, molto dissetante e rinfrescante grazie all'elevato contenuto in acqua che aiuta soprattutto in estate a prevenire la disidratazione, favorendo anche l'eliminazione delle tossine e combattendo la cellulite.
Presenta inoltre un'alta percentuale di sali minerali (fosforo, magnesio e potassio sodio e calcio), vitamina A e C ,ma anche B e PP è utile per rassodare e rinforzare la pelle.. .
E’ ricco di zuccheri (saccarosio, fruttosio e glucosio) e l’indice glicemico è piuttosto alto, più di 100 e ciò non lo rende molto adatto ai pazienti diabetici
Ha proprietà rinfrescanti e coadiuvanti i processi digestivi (ma è sconsigliato a chi soffre di dispepsie e di disturbi enterici). Possiede una blanda azione lassativa.

Terminiamo questa prima parte con un’ottima verdura di stagione, la Zucchina, sintetizzando le sue mille virtù.
Ipocalorica e povera di amidi, la zucchina è una delle regine delle diete.
La zucchina (nome botanico Cucurbita pepo L.) è una specie della famiglia delle Cucurbitaceae (vedi il melone sopracitato)
Ricchissima in acqua (circa 93 grammi su 100 di peso complessivo), è caratterizzata dalla quasi totale assenza di calorie (circa 13/100 gr), e da una bassissima presenza di amidi (addirittura l'1% del suo peso). Proprio per quest'ultima sua caratteristica la zucchina è sicuramente sfruttabile anche dai diabetici e da tutti coloro che desiderino seguire un'alimentazione che controlli la curva glicemica (e la conseguente risposta insulinica). La sua struttura e le sue caratteristiche nutrizionali l'hanno pertanto resa in passato cara alle diete ipocaloriche

La zucchina contiene molti minerali preziosi, quali sodio, potassio, ferro, calcio, fosforo, manganese, zolfo e cloro, e altrettanto preziose vitamine (vitamina B2, PP, A, e, in misura molto modesta, vitamina C).
Si tratta di un ortaggio altamente digeribile, soprattutto se cotto al vapore (in modo da non disperderne il contenuto di minerali) e che trova un formidabile impiego in soggetti con problemi gastrici, esse infatti svolgono nell'organismo una potente azione diuretica e depurativa, con un discreto effetto lassativo, e risultano quindi particolarmente indicate in caso di stipsi (sarà allora naturalmente consigliabile il consumo della zucchina completa della buccia, dove sono presenti le fibre), di ritenzione idrica, di cellulite, e di tendenza alla calcolosi renale.

giovedì 8 luglio 2010













Il tempo… perso
di Massimo Cipelletti

massimo.cipelletti@email.it

Il tempo è misura indiscussa, dinamicità irrefrenabile; percezione soggettiva. Molto si può fermare, rallentare e frenare ma non di certo esso. Ritma le nostre giornate, le più svariate realtà situazionali; si dice sia galantuomo e che con esso tutto passi. Ma chi scandisce il tempo percepito?
Non ce lo domandiamo così di frequente giacché siamo perpetuamente coinvolti nello stesso vortice temporale che ci risucchia senza concedere margine di riflessione e spazi ridotti di respiro intellettivo. Sia che si studi, che si lavori, piuttosto che si sia casalinghe o ci si impegni in altro: qualcosa ci assorbe quotidianamente e ci induce a dire: “devo dedicarmi del tempo”. Ma non sempre sappiamo bene – in quanto spesso lo crediamo ma non è veramente così – cosa vorremmo farne del cosiddetto tempo libero. Avremmo tutti da “fare” migliaia di faccende che usualmente non riusciamo addirittura nemmeno ad iniziare; ma si tratta di questioni puramente rituali, sottratte alla routine, in assenza di tempo: non sarebbe ugualmente un momento per noi stessi.

Se qualcuno, per assurdo, ci concedesse del tempo supplementare chiedendoci inoltre come gradiremmo usufruirne, tendenzialmente non sapremmo, a freddo, come rispondere. Al di là della comune e superficiale risposta: “se avessi tempo saprei sì cosa farmene”; di cui ci si riempie la bocca, poiché certi di poterne usufruire. E tutto questo – con le dovute eccezioni – perché?
Siamo assolutamente consueti ad organizzare la nostra giornata lavorativa, familiare e personale. Tutti gli avvenimenti che viviamo ci scandiscono i ritmi che dobbiamo rispettare per non essere in ritardo. Siamo oberati di commissioni e “cose da fare” che non potremmo mai vivere dei momenti, senza che essi non siano puntualmente e precisamente pianificati e preaccordati. Il caso non ha più margine di azione e terreno d’espressione, altrimenti si scivola nel ritardo. E ciò è vietato da una tabella di marcia che non permette tanto meno anticipi, altrimenti verrebbe meno alla sua funzione madre. Così si riducono, se non eliminano, anticipi e ritardi: ma verso chi?, esclusivamente verso la nostra giornata e la nostra realtà. Se usciamo dal programma, il meccanismo è a rischio inceppamento; l’inconveniente, gradevole o spiacevole, non fa più parte delle nostre situazioni. E con esso, va da sé, si riducono anche le emozioni. Quelle tipiche del tempo libero. A tal punto, ripetendomi, che se ne avessimo disponibilità di utilizzo, non ne possederemmo più le capacità di godimento.

Ma viviamo quindi degli spazi di tempo libero? Assolutamente sì; ma assurdamente, rigorosamente ed esclusivamente organizzati anch’essi. L’unica differenza rispetto alle nostre competenze di routine è che esso è pianificato e propostoci da terzi: ecco cos’è divenuto il nostro tempo libero. Un insieme di attimi gestiti, tanto quanto il resto della nostra giornata-tipo, ma da altri a nostro favore. Deleghiamo l’incombenza di pensare alla nostra libertà, a soggetti che ci pianificano i nostri spazi “vuoti”. Così ci garantiamo certamente un più elevata qualità dei momenti vissuti e perdiamo la capacità di riflettere per noi stessi e su noi stessi. Assoldiamo professionisti che lavorino per noi; una mentalità che è da tempo a regime e funziona così bene che ne siamo solo parzialmente consapevoli.
Pare che la libertà vera e propria talora ci pesi. Dobbiamo subito sostituirla con qualche impegno, suggeritoci dalla società del divertimento organizzato. I nostri hobby rischiano di essere vittime, in parte, di una tendenza del momento e non frutto di una passione o di una curiosità.
Rischiamo di andare in crociera seppur soffriamo di mal di mare o di risalire le scale di un grattacielo detestando i centri urbani. Questo non può nemmeno farci meditare, proprio perché è ciò che non vogliamo fare nel nostro caro ed amato spare time.
Diamo tempo al tempo.

mercoledì 7 luglio 2010

A modo mio (My Way)












A modo mio
di Silvana Lotto


La buona musica eleva il cuore e l'anima,
rilassa o ti da energia a seconda del bisogno.
Vorrei dedicare a tutte le persone romantiche, la versione in italiano della famosa canzone My Way (A Modo Mio) del grande Frank Sinatra.
La propongo ai lettori del Via Vai, perchè essendomi sempre piaciuta la melodia di questa canzone, ma non comprendendone a pieno il significato (infatti faccio parte della folta schiera di italiani che l'inglese oltre a non masticarlo.....non lo digeriscono), appena posso avere delle traduzioni di qualche bella canzone inglese, la ascolto più volentieri, tra cui appunto "MY WAY".
Per questo penso di fare cosa gradita trascrivendola qui sotto:
 
A MODO MIO
 
Ed ora che la fine è vicina
e il sipario si alza per un'ultima volta,
amici miei, apertamente vi parlerò
e consapevolmente, perchè di me vi parlo.
 
Ho vissuto una vita piena e ho viaggiato
per ogni sentiero;
Ma di più, ancor più di questo,
l'ho fatto a modo mio.
 
Dispiaceri ne ho avuti tanti,
ma tuttavia troppo pochi per elencarli:
Ho fatto ciò che dovevo e l'ho considerato,
senza eccezioni.
 
Sì! Ci sono stati momenti, sono sicuro che lo sapevate,
nei quali ho morso più di quanto potessi masticare;
Ma durante tutto ciò, quando avevo dei dubbi,
ho mangiato ed ho sputato,
ma sempre mi sono trovato con tutti
e ho mantenuto la mia scelta
e l'ho fatto a modo mio.
 
Ho amato, riso e pianto;
ho avuto sazietà di molte cose,
la partecipazione a perdite
e ora, mentre le lacrime colano
trovo veramente divertente, pensare
che, io ho fatto tutto ciò;
E posso dirlo senza alcuna timidezza
che sì, proprio io,
io l'ho fatto a modo mio:
 
Perché, cos'è un uomo?
 
Cosa veramente possiede se non se stesso?
 
Cos'altro ha da dire se non le cose
che veramente sente?
 
Certo non le parole che ha sentito da qualcun altro!
 
Il discorso lascia trasparire che mi sono sforzato;
 
MA ANCHE QUESTO, L'HO FATTO A MODO MIO.
 

martedì 6 luglio 2010

Vicenza e emissioni di gas serra

Il Comune di Vicenza leader di un progetto europeo per ridurre le emissioni di gas serra

Il Comune di Vicenza è leader di un progetto europeo per ridurre le emissioni di gas serra e per sviluppare fonti rinnovabili. Nei giorni scorsi la giunta ha deciso di aderire al programma Intelligent Energy Europe promosso dall’Unione Europea, che si propone di incoraggiare la promozione dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e della diversificazione all’approvvigionamento energetico nei settori dell’edilizia e dell’industria, dei sistemi energetici, dei trasporti e delle energie rinnovabili, con il coinvolgimento attivo delle città europee.
Vicenza si candida, dunque, come leader di una rete internazionale di 16 partner, composta, tra le altre città, anche da Padova, Osijek (Croazia), Arad, Timisoara e Alba Iulia (Romania), Palma di Maiorca (Spagna) e Salaspils (Lettonia), per la presentazione del progetto “Convenant for Conurbations”, che mira a sviluppare piani di azione per l’energia sostenibile integrando le politiche delle città capoluogo con quelle dei comuni contermini. Hanno infatti già manifestato interesse a partecipare al progetto i Comuni di Altavilla Vicentina, Dueville e Torri di Quartesolo.
Insieme, i vari enti – affiancati anche da partner privati (Sogesca per l’italia) -, si impegneranno a studiare soluzioni finanziarie tese ad incentivare investimenti pubblici per la riduzione dei consumi energetici, lo sviluppo delle fonti rinnovabili e la riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
In caso di approvazione del progetto, la Commissione Europea darà un contributo di 136.725 euro, pari al 75% del budget.

lunedì 5 luglio 2010

Il gatto nell'arte









Il gatto nell’arte
a cura dell'associazione "Il Segno"

Nel corso dei secoli molti pittori si sono cimentati nella rappresentazione pittorica dei gatti.
Animale magico e misterioso, spesso indolente ma pronto a scatti e balzi da predatore, inafferrabile nei suoi percorsi e nella psicologia, alternativamente legato alla quiete familiare o all'impulso demoniaco e stregonesco, il gatto attraversa la storia della cultura e dell'arte lasciando segni precisi, di grandissima suggestione. Ancor oggi pittori contemporanei ne ritraggono l'eleganza e la signorilità con il proprio stile.

Fra i pittori più sensibili alle movenze feline ricordiamo Pierre-Auguste Renoir, uno dei massimi esponenti dell'Impressionismo.

Un altro pittore impressionista, Edouard Manet “in Olympia” ritrae una prostituta nuda distesa su un letto, con un gatto nero che si stiracchia ai suoi piedi. Per questo quadro Manet si ispirò alla Venere di Urbino di Tiziano, invertendo il messaggio simbolico: mentre nella Venere di Urbino, ai piedi della figura femminile c'è un cagnolino che simbolizza la fedeltà richiesta ad una moglie, il gattino raffigurato nell’”Olympia”, rappresenta il maligno (il gatto, come ben sappiamo, in epoche passate veniva considerato in alcune culture il messaggero che le streghe utilizzavano per comunicare con il diavolo).
A cavallo tra il XVIII e XIX secolo anche il celebre Francisco Goya ritrae un ragazzino intento a giocare con una gazza. Alle sue spalle si osservano tre gatti che con gli occhi spalancati seguono la scena pronti ad avventarsi sul volatile. Ciò che colpisce di questo dipinto è la fedeltà delle immagini, segno che il gatto ha sempre attirato l'attenzione, in tutte le epoche.
Nell'opera “Il carnevale di Arlecchino” dell'artista catalano Joan Mirò, considerato uno dei capolavori del movimento surrealista, si presenta un grande spettacolo realizzato con oggetti strani, piccoli giocattoli fantastici, infantili diavoletti, strani esseri informi, mostriciattoli che escono da cubi che si attorcigliano su asticelle sottili, molti sono sospesi a mezz'aria come giocolieri nel paese delle meraviglie. Mirò spiegò i suoi elementi caratterizzanti, i quali possono essere ritrovati anche in altre tele: la scala indica la fuga dal mondo e l’evasione, gli animali sono quelli che più amava e che gli facevano compagnia quando dipingeva.
Théophile-Alexandre Steinlen, artista contemporaneo anticonformista, pittore, grafico, illustratore, era un gattofilo sfegatato tanto da essere conosciuto come "il re dei gatti". Le opere di Steinlen sono quasi tutte un omaggio al gatto del quale è stato attento osservatore.

Paul Klee, l'artista che aprì la strada all'arte moderna, amava molto i gatti e ne possedeva molti. Nel suo dipinto “Gatto e uccello” raffigurò un grande muso di gatto con un uccellino sulla fronte.
Franz Marc, pittore contemporaneo rappresentante dell'Espressionismo tedesco, dipinse gatti in molte sue opere. In una di queste, “Cane, gatto e volpe” dai colori accesissimi si sprigionano le tre figure deformate da pennellate circolari. Ma il gatto si distingue perché eretto, fermo ed impassibile nella sua posizione più tipica: l'autore ne ha colto l'essenza.

Futuro remoto


FUTURO REMOTO
Testo e foto di Ornella Trentin



Tornando a Schio, a distanza di mesi, resto sempre sorpresa dall’incalzante trasformazione del territorio, quasi irriconoscibile rispetto a pochi anni fa, ma anche dal moltiplicarsi vertiginoso delle pubblicazioni prodotte dagli autori locali. Come se lo stravolgimento accelerato impresso al luogo, fosse bilanciato da un lavoro sommesso, non meno inesorabile e articolato, di ricostruzione minuziosa dei riferimenti, con un passato ripescato fin nei minimi dettagli, che mette in risalto sempre nuove sfaccettature e voci. Folate di testimonianze e immagini risalgono in superficie come dopo un lungo sonno - forse necessario per riconsiderare con il dovuto distacco eventi troppo aspri e sovrapposti - attraverso autobiografie, romanzi, racconti, trasposizioni poetiche, ricostruzioni storiche, libri fotografici … opere diverse accomunate da una profonda, irrevocabile emozione.
Così, mentre i contorni familiari del paesaggio spariscono davanti agli occhi, le librerie aggiungono nuovi scaffali per fare spazio ai libri appena usciti, scritti dagli autori del posto, che vanno ridisegnando in un mosaico interiore il passato della Val Leogra. Un’espressione corale che sembra quasi rispondere a un accordo telepatico, e si va affermando, non a caso, dopo aver lasciato alle spalle un secolo con molti conti psichici ed emotivi rimasti in sospeso.

Il promettente Novecento, con lo straordinario impulso dato in Europa dalle scoperte scientifiche, dal fermento artistico, intellettuale e spirituale, fu caratterizzato per molti abitanti della Val Leogra (come per tanti altri italiani), da un esodo di massa, che costrinse a cercare altrove di che vivere quasi metà della popolazione italiana dell’epoca. Un’emigrazione durissima verso i continenti più lontani, di persone per lo più analfabete che non si erano mai allontanate dalla loro terra.
A chi rimase, purtroppo non andò molto meglio. Le cupe trincee del fronte italo-austriaco – durante la Prima Guerra Mondiale del 1915-18 - intristirono all’improvviso le montagne - quelle cime autorevoli che erano un tutt’uno con la tempra e la vitalità più genuine della loro gente, ricche di boschi, canaloni, guglie e sentieri selvatici, conosciuti in ben altro modo. Fu un uragano che travolse ogni cosa, compresi gli speroni rocciosi più compatti del Pasubio, fatti saltare con la dinamite.

Oltre al prezzo altissimo in vite umane tra i giovani soldati provenienti da ogni regione, che spazzò letteralmente via una generazione intera, migliaia furono, nel 1916, gli sfollati tra i civili (molti provenienti anche dall’Altopiano di Asiago e dalla Val d’Astico), costretti ad abbandonare precipitosamente tutto quello che avevano, e a peregrinare per anni in città lontane ed estranee, bistrattati, strappati da ogni riferimento e spesso separati anche dai propri familiari. Tanto furono messi a ferro e fuoco i monti, che ancora a distanza di quasi un secolo si trovano tracce di residui bellici sulle cime e intorno ai sentieri, celati tra i fiori e i cespugli d’alta quota.
Su un tale sfacelo, l’epidemia della “Spagnola”, tra il 1918-1919, ebbe effetti devastanti. A breve distanza, seguì la dittatura, che in meno di due decenni catapultò il Paese dritto verso la Seconda Guerra Mondiale del 1940-45, non meno rovinosa, e per giunta fratricida, particolarmente sofferta da queste parti fino all’ultimo, e anche dopo che le colonne tedesche si erano ritirate, seminando distruzione lungo le uniche vie di fuga verso il confine.
Negli anni Cinquanta, in un Paese - per assurdo - raso al suolo dai liberatori, di nuovo molti abitanti della valle si trovarono costretti ad emigrare. Qualcuno s’imbarcò verso le Americhe e l'Australia, molti raggiunsero i paesi europei più a nord, spesso per andare a lavorare nelle miniere e a vivere nelle baracche.
Un’eredità ingombrante, non c’è che dire, un vero e proprio choc collettivo, che ha lasciato molti segni e ha probabilmente mutato in parte sia il carattere delle persone (così si spiega forse una certa ruvida diffidenza, considerata “tipica” della gente di montagna), che l’energia dei luoghi, portando allo spasimo l’ossessione della sopravvivenza, con la paura costante di perdere tutto, di dover abbandonare tutto, un motivo insistente che ha piantato nella psiche un’ansia perenne, un’insicurezza, uno stare sempre sul Chi va là?, che nemmeno lo slancio generoso, energico e rincuorante della Ricostruzione, né il sollievo per la fine della guerra, dissiparono del tutto. Non bastò ad estinguerla l’espansione ottimistica del Boom economico, né l’euforia consumista degli anni Sessanta, non la cancellò il modesto benessere appena conquistato, sperimentato per la prima volta da coloro che avevano conosciuto per la maggior parte della loro vita fame, fatica e miseria. L’ansia era rimasta così a lungo in circolo nei sopravvissuti, tramandata diligentemente di generazione in generazione, che perfino il fiorire improvviso delle novità culturali, sociali e musicali degli anni Sessanta fu considerato all’inizio una minaccia, piuttosto che il bussare impetuoso della modernità. Poi, anche quegli anni divennero un lontano ricordo in bianco e nero, e una quantità incredibile di nuove abitudini e accessori tecnologici entrarono nell’uso quotidiano, al punto da rendercene (un po’ ingenuamente), schiavi. Tuttavia, nonostante gli innumerevoli aggiustamenti e cambiamenti dello stile di vita, seppure con un borbottio di sottofondo sempre più indistinto e impercettibile, molte paure sotterranee restarono là, nell’attesa implacabile di essere liberate.

Con un simile retroterra, è comprensibile che i drastici rovesciamenti economici di questi mesi rischino di far riemergere bruscamente i vecchi timori, risvegliando insicurezze sperimentate di persona, oppure ereditate dai propri antenati. Di fatto, la storia di un popolo passa attraverso le vicende dei nuclei familiari che lo compongono, in quel misterioso “sorteggio karmico” che mette insieme, con vincoli strettissimi, i componenti di una famiglia e i loro destini. Gli eventi bellici riassunti nei libri di Storia in due gelide righe, si traducevano nella realtà in rastrellamenti, case incendiate, smembramenti drammatici e improvvisi delle famiglie, deportazioni di figli, mariti, fratelli, spesso senza ritorno, bombardamenti e coprifuoco, viaggi terribili nei vagoni blindati, prigionia, umiliazioni, scarsità di cibo e notizie per periodi interminabili, tradimenti, il tutto vissuto simultaneamente da un numero di persone spropositato al punto, che ben pochi poterono parlarne trovando ascolto. Essere ancora vivi sembrava sufficiente, ma era improbabile che un tale fardello potesse essere alleggerito solo dal trascorrere del tempo, dalla buona volontà, né tantomeno da un accomodamento razionale. Lasciarlo veramente andare, richiede un atto cosciente di guarigione, per prendersi cura della paura sedimentata nell’animo.
Le difficoltà del presente di provvedere dignitosamente alle necessità materiali, sembrano in parte rimettere in scena un trauma già vissuto. Ciò potrebbe diventare peraltro l’occasione di una sia pur tardiva catarsi, per sgombrare il pensiero collettivo da molte ombre, facendo spazio alla creatività e genialità più feconde, alle soluzioni felici che potrebbero scaturire a un livello di coscienza più libero e spontaneo.

Tra gli strumenti di supporto che si sono rivelati efficaci per chiudere con grande beneficio i conti col passato, spiccano le "Costellazioni Familiari" di Bert Hellinger. E’ sorprendente come questo terapeuta di origine tedesca (o, come preferisce definirsi, “guaritore di anime”), ben al corrente della schiacciante eredità nazista del suo popolo, abbia individuato per soccorrerlo uno strumento terapeutico formidabile, in grado di dare sollievo, non solo a un individuo isolato, ma all'intera genealogia della sua famiglia, per disinnescare gli “irretimenti” - come li chiama Hellinger - che tengono spesso in ostaggio la vita dei discendenti. Il suo metodo si è diffuso, dapprima lentamente, anche in altri Paesi, e a giudicare dal crescente interesse riscosso negli ultimi anni in Italia, si direbbe quasi una forma di risarcimento per quanto fu sopportato in tempo di guerra durante l’occupazione tedesca.

Come testimoniano un numero impressionante di casi felicemente risolti per mezzo delle Costellazioni Familiari, molti problemi apparentemente insolubili spesso risentono, con evidenza inequivocabile, di episodi traumatici vissuti dai genitori, dai nonni o addirittura dai bisnonni durante le guerre. La descrizione dettagliata degli eventi e dei risvolti psicologici non sono necessari; anzi, durante la Costellazione le parole vengono utilizzate con estrema parsimonia: ciò che conta, per Bert Hellinger, sono i fatti, enunciati all’inizio dal soggetto trattato. Per “fatti” si intendono avvenimenti specifici a causa dei quali, non importa in qualche generazione, alcuni componenti della famiglia sono stati per qualche motivo esclusi. Oltre ai traumi bellici, come la “sindrome dei sopravvissuti”, gli eventi - tra gli altri - considerati rilevanti nel trattamento della Costellazione sono: suicidi, omicidi, perdita di genitori, figli o fratelli avvenuti in tenera età, sia nella linea genealogica paterna, che materna. Data la quantità di lutti ed ingiustizie causati dalla guerra, è inevitabile che essa ritorni assai spesso in scena.
Secondo Hellinger, la famiglia risponde a un ordine superiore, all’interno del quale ciascun componente ha uguale diritto di essere rispettato e onorato. Se il diritto di appartenenza viene sottratto anche a un solo individuo, la sua esclusione si ripercuote – con le problematiche più diverse - su altri componenti familiari, anche di generazioni successive. Il malessere causato da tale squilibrio continuerà a serpeggiare nel sistema familiare, reclamando giustizia. Tuttavia, se l’elemento escluso viene reinserito onorevolmente nel contesto della famiglia, riconosciuto ed accolto, il familiare che era stato inconsapevolmente coinvolto nell’irretimento, ne sarà immediatamente sollevato, e al tempo stesso ci sarà una distensione anche nel resto della famiglia.

Concretamente, la Costellazione Familiare si svolge attraverso un lavoro di gruppo guidato da un terapeuta. Il soggetto che affronta la propria tematica, dopo aver elencato gli eventi cruciali tra quelli indicati, è invitato a scegliere tra i presenti un rappresentante per ogni componente della sua famiglia e per se stesso. Dopo averli disposti in modo rapido ed istintivo al centro, affinché tutti possano vederli, resta ad osservare insieme agli altri spettatori ciò che succede. Anche se può sembrare strano, appena scelti e messi in relazione, i “rappresentanti”, pur non conoscendo i soggetti che stanno impersonando, rivelano nitidamente - con emozioni, sensazioni e gestualità - ciò che è rimasto in sospeso nella famiglia rappresentata. Da un loro minimo cenno, il terapeuta può afferrare il nesso decisivo per togliere un peso che grava, magari da generazioni, nel sistema familiare. A rotazione, il terapeuta interpella ciascuno dei “rappresentanti” che, a seconda di come si sentono, cominciano a muoversi nello spazio circostante. In base alle loro reazioni, espressioni e risposte – e a seconda del caso - il terapeuta sceglie tra gli spettatori alcuni altri elementi della famiglia. Di solito, appena essi si uniscono al gruppo familiare, le reazioni dei suoi componenti cambiano radicalmente. Infatti, appena gli esclusi vengono riaccolti nella famiglia, l’irretimento della persona che ne era stata inconsapevolmente coinvolta, svanisce. Immediatamente, il cambiamento positivo traspare in tutta evidenza dall’espressione e dall’aspetto del protagonista reale della Costellazione che, a quel punto, prima di concluderla, viene invitato talvolta a riprendere il suo posto, all’interno del contesto familiare finalmente pacificato.

Descrivere l’emozione che accompagna i partecipanti mentre si susseguono le storie familiari più incredibili, è praticamente impossibile, anche perché la soluzione disarmante dei casi più ardui oltrepassa qualsiasi spiegazione razionale. Ma chiunque abbia occasione di partecipare a una Costellazione Familiare, condotta da un terapeuta di valore, ne rimane toccato, sia che affronti la propria vicenda personale, che partecipi come rappresentante, oppure si limiti a osservare come spettatore. Tutto ciò potrebbe anche apparire inverosimile e meccanicistico, ma quando si prova di persona non è difficile ricredersi. Del resto, per quanto se ne possa parlare, nulla potrà essere emotivamente più persuasivo di un’ esperienza diretta.
Ritornando al presente, ho l’impressione che le sfide in corso rendano ancora più necessario mettersi nelle condizioni migliori per poter agire con lungimiranza. Alleggerendo, nel modo più adatto, i residui del passato, diventa più facile e appassionante assumere la responsabilità del proprio esistere, con un atteggiamento fiducioso e, perché no?, con un senso di ebbrezza e meraviglia, visto che siamo qui! Penso che solo con una tale energia sia possibile materializzare una vera prosperità, valorizzando le risorse più originali e creative di ogni essere umano, che sono la nostra ricchezza. E’ interessante notare come la parola “responsabilità”, sia stata spesso associata culturalmente, in particolare nel Veneto, a un senso quasi immediato di colpa, con tutti i suoi effetti distorti, quando invece “responsabile”, ha il significato ben più nobile e gioioso di “abile nel responso”. I paradossi dello stile di vita contemporaneo, i continui corto circuiti che la stanno rendendo quasi inagibile, possono sospingere verso soluzioni completamente inedite: reti solidali, economia di scambio, professioni essenziali e geniali, rispettose dell’ambiente, amore per la Terra tradotto con nuove idee, semplici e a basso costo, utilizzo di tecnologie con obiettivi sociali, cura delle relazioni, nuovi canali di divulgazione dell’arte … Un intero mondo da inventare, un punto di svolta degno dei pionieri più visionari, che hanno da sempre anticipato audacemente le nuove epoche, seguendo imperterriti i loro sogni.



Per saperne di più sulle Costellazioni Familiari :
“Riconoscere ciò che è”, Bert Hellinger - Gabriella ten Hövel, Edizioni Urrà, 2001

giovedì 1 luglio 2010







Sì Viaggiare…

di Massimo Cipelletti



Come non evidenziare sino alla noia l’importanza del viaggiare? Si può farlo con il fisico, oppure con la mente, od ancora con entrambi; ciò che conta è concederselo. Pochi possono essere gli investimenti equiparabili al viaggiare, quasi irriproducibili i benefici.
Certo è possibile farlo per svago o per lavoro, in modo scanzonato o culturale, in mete naturalistiche o di valore artistico. Vi è stile e stile, vacanza e vacanza, viaggio e viaggio; eppure ciò che dà pregio a qualsiasi forma è il dinamismo: quello della mente e del fisico. Questo ci arricchisce e lo fa in ogni formula di viaggio suddetta. In un soggiorno per business e nelle ferie stagionali c’è sempre confronto con altri, nuovi stili, tradizioni, culture. Ovviamente svariate sono le differenze fra le due primarie tipologie di approccio, eppur entrambe, ognuna a suo modo, riesce ad apportare ricchezze a chi le vive: basta saperle cogliere. Esperienze edificanti, talora difficoltose, apparentemente ostili giacché così lontane dal nostro quotidiano, ma sul lungo tempo assai dense di contenuti.
Negli ultimi anni è nato anche il marketing del turismo e della cultura, finalizzato a promuovere, a stimolare processi economici e muovere flussi di denaro verso questo comparto dell’economia. Mai è stato più centrato un marketing simile; ovvero mai ha dimostrato un senso maggiore un tipo di marketing abbinato ad un settore. Se tutto viene mosso dal profilo economico, in tale ambito vi è un risvolto di crescita individuale così potente da giustificare un marketing sempre più strategico. Ciò che deve permanere è un livello qualitativo elevato di offerta turistico-culturale, senza cadere in affari o campagne seriali orientate alla massificazione e svalorizzazione delle mete stesse.
La stessa Schio di recente sta adottando una politica mirata allo sviluppo turistico; e pare lo stia facendo con un progetto meritevole di lode in quanto ad obiettivi prefissi. Avvalersi di uno sportello IAT (informazione ed accoglienza turistica) affinché si rilanci un turismo pressoché inesistente sinora è di primaria necessità. Un protocollo d’intesa fra Comune e giunta provinciale mirato a valorizzare il patrimonio artistico, culturale e naturalistico dell’Alto Vicentino tutto.
Dunque qualcosa si muove e nella giusta direzione dacché un Paese come l’Italia, che vanta il 60% del patrimonio artistico-culturale mondiale dell’Unesco, non ha il diritto di lasciarsi sfuggire l’opportunità di incentivare, curare e sviluppare qualsiasi forma di carattere turistico. Così anche noi nel vicentino dobbiamo aver sempre più cura delle realtà turistiche: generandole e promovendole, ottenendo gli elevati risultati che possiamo attenderci.
Se sapremo cogliere i benefici del viaggiare, nel vero senso del termine, sapremo altresì muovere masse di turismo di qualità e valorizzare i nostri territori che possiedono i giusti requisiti per essere degni di nota ed attenzione. Andiamo sicuramente educati al viaggiare, ripeto in qualsiasi forma esso si viva; solo divenendo permeabili alle ricchezze della diversità, in senso lato, saremmo in grado di migliorare la nostra quotidianità e quella di chi ci circonda. Un viaggio sarà sempre una straordinaria forma di investimento che sul medio periodo ci apporta effetti benefici talora inaspettati ed inusuali. Incredibile a dirsi, assolutamente palese nel farsi.
Scoprire il bello nella diversità ci apre la mente, ci rende cosmopoliti, ci permette di saper preservare ed amare ancor di più le nostre usanze, le tradizioni, gli stili di vita locali e territoriali, acquisendo la consapevolezza del loro profondo valore e del peso storico, così come stimiamo quelli altrui. Ossia essere “glocal”: cittadino del mondo e del nostro quartiere. Saper parlare inglese quando necessita ed il dialetto fra i nostri compaesani. Riscoprire il nostro popolo attraverso le altre etnie. Anche a ciò serve viaggiare, vivere nuove situazioni, relazionarsi con altre culture, interagire con tutti e su tutto. Sia negli affari, sia nelle consuete ferie: ogni occasione è buona, basta saperla cogliere, sfruttare e farne tesoro.
Qualcuno cantava: “Sì viaggiare…”