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lunedì 13 giugno 2011

Comunicare con internet



















Comunicare in Internet, anche la tecnologia richiede la grazia del saper vivere.
di Patrizia Landini - patrizia.l@viavaimagazine.it

Il segreto di una comunicazione efficace è uno solo: empatizzare, cioè mettersi nei panni dell’altra persona.
Questo è vero nei rapporti umani, ma diventa ancora più importante in rete perché, l’eccessiva enfasi sulle tecnologie, può farci perdere di vista i valori umani.
Quando non vediamo l’interlocutore o non ne sentiamo immediatamente la voce, possiamo avere la falsa sensazione di non dialogare con una persona vera, ma, appunto, solamente con il nostro pc.
Allora, cerchiamo di rimanere semplici, naturali e sinceri, così anche la comunicazione in internet avrà cuore e garbo e mi riferisco soprattutto alle e-mail.
Internet ha aperto orizzonti impensabili e vastissimi, ma, non per questo possiamo fare ciò che vogliamo.
Da un po’ di tempo a questa parte, si sente parlare di Netetiquette, l’etichetta della rete, che non è un “galateo”, non è neppure un “codice di comportamento”, né una serie di regole stabilite.
È una raccolta di criteri, dettati dall’esperienza e dal buon senso, che nessuno è “obbligato” a rispettare come dogma, ma che aiutano a migliorare la qualità del dialogo e a evitare inutili incomprensioni e problemi.
In buona parte riflette criteri di comportamento che sono validi sempre e comunque, anche fuori dalla rete; ma con riferimenti specifici al modo di comunicare online. Ecco alcuni dei concetti fondamentali:

- Semplicità vuol dire anche brevità.
Pascal, scriveva così ad un amico: “scusami per una lettera lunga, ma non ho avuto il tempo di scriverla corta”. Ed è vero, un testo può essere migliorato accorciandolo. Un testo ben scritto contiene “tutto il necessario e nulla più del necessario”. Questo, ovviamente, non significa essere “telegrafici”. Una comunicazione efficace non è priva di sentimenti e di emozioni e, per trasmetterle può essere necessaria una parola in più.
Non significa neppure rinunciare alla spontaneità, soprattutto in ambito personale. La freschezza di un pensiero, di una sensazione, può essere molto più importante della “perfezione” grammaticale o ortografica.

- Rileggete sempre ciò che state per inviare. Se scriviamo a un amico, che ci conosce bene, possiamo anche permetterci di buttar giù parole poco attente e spedirle senza rileggerle. Ma è sorprendente come anche persone molto vicine a noi possano capirci male se non ci esprimiamo con chiarezza. In un colloquio personale, o anche al telefono, possiamo accorgerci che una persona non ci ha capito e subito correggere o spiegarci. Ma in rete, come per lettera, scripta manent.
Ricordo che alle elementari, la mia maestra ci insegnava a rileggere i testi scritti al contrario, se avevamo dubbi, partendo cioè dall’ultima parola.
Adesso, nelle molte mail che riceviamo, spesso ci imbattiamo in testi scritti malissimo, dove è palesemente carente, quando non del tutto assente, la rilettura.
Comunque:
- E’ buona norma controllare la propria casella di posta elettronica in modo regolare. Oltre che liberare il server per ricevere altri messaggi, potremo rispondere subito a chi ci scrive.
-I nostri messaggi dovranno essere brevi e comprensibili.
- Meglio indicare sempre l’oggetto della mail perché permette, a chi riceve il messaggio, di identificarne l’argomento prima ancora di leggerlo
- Si usa scrivere in minuscolo. Il maiuscolo equivale a "gridare", per cui è da evitare o da utilizzare solo nel titolo.
- Cerchiamo di limitare la lunghezza del messaggio. Specie se si risponde, riportando il contenuto del messaggio originale, conviene lasciare solo quelle parti che sono rilevanti per la risposta.

- Attenzione alle battute. Siate rispettosi, perché possono venire equivocate. Evitate messaggi contenenti linguaggio scorretto.
- Soprattutto in ambito lavorativo, firmate sempre la posta e mettete il vostro numero di telefono. Non è automatico che dall'indirizzo di mail sia possibile risalire allo scrivente.
Ad un messaggio di posta elettronica si può associare una "firma elettronica" detta "signature" che riporta le informazioni rilevanti del mittente (Nome, Cognome, Indirizzo, Numero di telefono, di fax e di e-mail).
Evitiamo allegati pesanti. Non è raro, purtroppo, il caso che qualcuno spedisca un elaborato complesso (come una presentazione in powerpoint) quando basterebbero due righe di testo,
oppure che arrivino auguri per le feste con allegati che superano i 5 mb.

Prima di ricorrere a un “allegato”, chiediamoci se non sia più pratico inserire il testo direttamente nel messaggio. E se proprio dobbiamo allegare qualcosa, cerchiamo la soluzione più semplice, meno ingombrante e meno rischiosa dal punto di vista della compatibilità (non sempre chi legge usa le stesse risorse tecniche, e con le stesse definizioni, di chi scrive – e questo può provocare ogni sorta di inconvenienti) o allungare i tempi di risposta.

viavai tv online: Il corpo non mente

viavai tv online: Il corpo non mente: "Il Corpo non Mente di Antonia Murgo - psicologa, psicoterapeuta, specializzata in psicosomatica Istituto Riza di Milano ..."

Il corpo non mente



















Il Corpo non Mente
di Antonia Murgo - psicologa, psicoterapeuta, specializzata in psicosomatica
Istituto Riza di Milano



Il corpo è l’oggetto psichico per eccellenza, il solo oggetto psichico. J.P.Sartre

E’ tempo di vacanze,siamo ai blocchi di partenza,pronti per un periodo di relax e
divertimento La bella stagione invita a scoprirci per lasciare respirare la pelle, a godere appieno della sensazione di benessere e della libertà di indossare abiti leggeri, scoprendo il nostro corpo e esponendolo così alla luce del sole, ma anche allo sguardo ed al giudizio altrui. Ed è proprio quando consideriamo questa possibilità che vediamo sfumare l’entusiasmo e hanno inizio i turbamenti e le inquietudini. Solo allora ci accorgiamo di possedere un corpo che, a ben guardare, non corrisponde, nella grande maggioranza dei casi, a quello che vorremmo avere.
Questa considerazione ci induce ad elevare il corpo, fino ad allora ignorato, al rango di oggetto privilegiato, sul quale ora si scatenano le nostre attenzioni, i desideri, i bisogni e le frustrazioni accumulate giorno dopo giorno, osservando le immagini di corpi patinati, crudelmente indifferenti alle nostre imperfezioni.
L’impossibilità di sottrarci all’esposizione del nostro corpo dà avvio a una girandola di interventi che prevedono cure, massaggi , diete improbabili e vere torture, finalizzate al raggiungimento di un risultato che, il più delle volte, rimane irraggiungibile.
Il corpo non è un oggetto. Non è né al nostro servizio né al servizio della nostra mente. Non è un vettore, ma la sua importanza nella nostra vita è imprescindibile dalla vita stessa. Esso ci conduce dove intendiamo andare, ma, nel momento in cui è oggettivato e finalizzato ad un obiettivo che trascende la sua complessità, devia il cammino per darci la possibilità di comprendere l’errore. L’oggettivazione del corpo, che si riconosce e si accetta là dove risulta riconoscibile e accettabile dagli altri, è una forma pericolosa di alienazione.
“…nelle medicine antiche,dove ancora è rintracciabile il valore ordinatore dell’archetipo, il corpo non appare il risultato concreto di forze biologiche operanti a caso,ma riflette nella sua armonia di funzionamento le regole operanti dell’archetipo del Sé. In questo il corpo si sacralizza, perché diventa tempio dell’anima, per cui conoscere il corpo, con il suo simbolismo e le sue analogie, significa entrare in rapporto con le divine “proporzioni del Sé.” Diego Frigoli – Il corpo e l’anima-

Il corpo è ciò che, prima di ogni altra cosa, ci presenta e rappresenta nel mondo.

Scrive Umberto Galimberti “… in ogni gesto c’è dunque la mia relazione con il mondo,il mio modo di sentirlo,la mia eredità,la mia educazione,il mio ambiente,la mia costituzione psicologica. Nella violenza del mio gesto o nella sua delicatezza,nella sua tonalità decisa o incerta c’è tutta la mia biografia,la qualità del mio rapporto col mondo,il mio modo di offrirmi. Attraversando da parte a parte esistenza e carne, la gestualità crea quell’unità che noi chiamiamo corpo,perché non è il corpo che dispone di gesti,ma sono i gesti che fanno nascere un corpo dall’immobilità della carne.”

Il fatto è che il corpo, il nostro corpo, non può smettere di essere, essendo esso stesso il punto di partenza di ogni forma di conoscenza e l’unico in grado di accompagnarci nei meandri della nostra interiorità.
La nostra è l’epoca dell’ansia collettiva di un corpo efficiente, un corpo che non è più il tempio dell’anima, ma ha diritto ad esistere come oggetto edonistico da plasmare e migliorare in un programma di salute ed estetico che nasconde una profonda angoscia di morte.
Come abbiamo fatto a disconoscere la sacralità del corpo, a cadere nell’oblio che rende la materia
fine a se stessa? Come abbiamo potuto permettere che ci trasformassimo da esseri umani ad esseri animati?
Assistiamo alla ricerca ossessiva di un corpo “perfetto”, nel quale investiamo ogni risorsa ed energia, sia, d’altra parte, al suo oblio, orientati alla ricerca di una dimensione spirituale che nega l’esistenza del corpo e disconosce i suoi bisogni e, con essi, la sua medesima esistenza.
In ogni caso siamo nell’errore.
Percepire il linguaggio del proprio corpo è vivere il corpo. Ogni conoscenza che si allontana dalla percezione corporea si allontana dalla vita e diventa metafisica. L’espressività corporea, come esperienza in continuo divenire del corpo, dei piaceri , dolori e delle proprie necessità,rappresenta la prima e autentica forma di unità. L’individuo avverte la propria unità prima che abbia coscienza di essere un’unità. L’unità non è data dalla coscienza ma dal corpo. Le determinazioni,compresa la creatività,è il corpo che le prepara ,le stimola,le anima. “Se io ho in me qualcosa di unitario, di certo ciò non consiste nell’io cosciente e nel sentire,volere,pensare,bensì in qualche altra cosa:nella saggezza di tutto il mio organismo che conserva,si appropria,elimina,sorveglia,e di cui il mio io cosciente non è che uno strumento.” F. Nietzsche.

Se il corpo è il tempio sacro poiché contiene ed esprime, nell’immanenza della sua dimensione materiale, la nostra partecipazione all’universalità; se il corpo crea e produce immagini in grado di partorire il mondo ma è anche in grado di essere partorito dal mondo; se il corpo esprime l’interezza del dialogo tra il divino e l’umano, allora cosa ne sarà di noi, se continueremo ad ignorarlo?
Lo esponiamo, carne desiderante e desiderata, giovane, fresca, lucida materia per appetiti senza amore. Oppure lo eleggiamo a feticcio contro la morte, intrappolati nella logica che vede la morte appannaggio della materia.
E ancora, esso è insultato ed ignorato, coperto e sottratto al mondo, in un’allegoria dove la morte del corpo è morte del mondo perché, invece, solo nella reciproca presenza si perpetua la vita umana.

E’ difficile comprendere che tutto questo ha un nome diverso dalla ricerca della Bellezza, della Salute del Benessere. E’ difficile comprendere che negare la presenza del corpo e avvilirlo significhi, invece, dargli la possibilità di parlarci in nome della sacralità vicina alla sua meravigliosa esistenza e di condurci al divino. E’ difficile giungere alla conclusione che la scelta di questo rapporto con il corpo ci dona, invece, solo vissuti di morte, ignoranza di se stessi,paura di amare, paura di vivere,paura di riconoscere in noi tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Ma, se desiderassimo davvero essere belli e sani e giovani in eterno, non dovremmo far altro che consegnare il corpo alla propria dignità,riscattarlo dalle facili demagogie e dai padroni senza tempo. Ascoltiamo senza giudizi cosa ha da dirci, così ritroveremo lo splendore di una bellezza che non ha modelli. Perché il segreto della bellezza sta nell’ accogliere quello che si è, liberi di poter abitare il “Corpo del Mondo”.


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Tea time





















Tea Time
di Valeria Vicentini

La vita quotidiana è sempre più frenetica, veloce, tra lavoro e impegni vari ci sembra di non avere nemmeno il tempo per farci da mangiare, figuriamoci per prepararci una buona tazza di tè!
E così mentre da un lato ci preoccupiamo sempre di più della nostra salute, dall'altro mangiamo cibi pronti, beviamo bibite confezionate e preferiamo il tè in bustina, in bottiglia o solubile nella convinzione che il tempo impiegato per preparare le cose sia tempo perso.
Invece, dedicarsi con amore alla preparazione di ciò che mangiamo e beviamo è il primo passo verso il benessere del corpo e della psiche. Una leggenda araba dice che Allah bevve caffè durante la creazione del mondo, bevve vino quando cacciò Adamo ed Eva dal paradiso terrestre e bevve tè il settimo giorno, per riposarsi.
Il tè infatti è un'ideale compagno di meditazione: va preparato con cura e va sorbito lentamente mentre ci avvolge con i suoi profumi e aromi; allora si che diventa una bevanda salutare che coccola il nostro Io, lo rilassa e lo compiace preparando l'organismo ad accogliere le sue numerose proprietà benefiche.
Mens sana in corpore sano dicevano gli antichi, e se il tempo che dedichiamo a noi stessi quando ci prepariamo una buona tazza di tè aiuta il benessere della mente, la caffeina, i tannini, i sali minerali e i polifenoli presenti nel tè si occuperanno più facilmente della cura del nostro corpo.
Il tannino ad esempio ha proprietà antisettiche e calmanti che agiscono in particolare sullo stomaco e sull'intestino. La caffeina, a torto uno dei più denigrati componenti del tè, stimola il Sistema Nervoso Centrale, migliorando l'umore, aumentando le capacità di concentrazione, diminuendo il senso di fatica e stimolando la risposta motoria. Inoltre, influisce sulla circolazione del sangue aumentando la pressione arteriosa, stimolando l'attività dei reni e rilassando la muscolatura liscia, in particolare dei bronchi, producendo così un azione antiasmatica e sedativa della tosse.
Il tè verde poi non essendo fermentato mantiene tutta la ricchezza di vitamine presenti nelle foglie, in particolare quelle del gruppo B che sono utili per la produzione di energia e regolano il metabolismo cellulare, e quelle dei gruppi C ed E che svolgono attività antiossidanti, controllano il colesterolo e rallentano gli effetti dell'invecchiamento. Inoltre è ricco di sali minerali tra cui fluoro, calcio, potassio, magnesio, ferro, fosforo e zinco in quantità tali da rendere il tè un buon supporto nella prevenzione della carie, della placca e delle infezioni batteriche, oltre che un rafforzante dello smalto dentale e della densità ossea in generale. Ma il cuore dei principi attivi del tè verde sono i polifenoli, i potenti antiossidanti che gli hanno fatto conquistare nei secoli l'appellativo di elisir di lunga vita: questi agenti aiutano l'organismo a resistere a diverse patologie legate all'invecchiamento cellulare e cutaneo, come il cancro, l'aterosclerosi, l'Alzheimer e il Parkinson; inoltre i polifenoli hanno effetti benefici sul sistema cardiovascolare, migliorano la circolazione e la salute del cuore, aiutano a regolare l'attività dell'insulina e a bruciare i grassi corporei.
Insomma in queste piccole foglioline è racchiusa un'enorme ricchezza per il nostro organismo, è un peccato rinunciare a tutto questo solo in nome della comodità: quindi meglio organizzarsi con un piccolo thermos e portarsi al lavoro il tè fatto in casa piuttosto che bere quello solubile dalla macchinetta, e ora che arriva l'estate è molto più vantaggioso (anche economicamente) prepararsi da soli il tè freddo invece di acquistare quello in bottiglia. E se proprio la caffeina ci dà qualche problema invece di bere un tè deteinato, che nel processo ha perso tutte le sue proprietà, meglio provare un tè verde (povero di caffeina) oppure sperimentare infusi di altre erbe come il Rooibos ad esempio, che è completamente privo di caffeina ma ricco di principi benefici.

Come fare un buon tè freddo

Per fare il tè freddo in casa non è per forza necessario farlo caldo e aspettare che si raffreddi, ma si possono mettere le foglie o i filtri in infusione direttamente in acqua fredda e lasciarli riposare in frigo per almeno un paio d'ore, con la sola accortezza di aumentare un pò le dosi ( ad esempio in un litro d'acqua si possono mettere anche 5-6 bustine vale a dire 10-12 grammi di tè) . Tuttavia se la voglia di tè freddo ci prende all'improvviso e non eravamo preparati c'è un metodo a mio avviso molto efficace e dagli ottimi risultati, che può essere applicato anche nei bar: il tè shakerato. Bisogna fare un tè caldo molto concentrato, utilizzando ad esempio 2-3 bustine per una tazza di acqua. Dopo averlo lasciato in infusione 5 minuti si versa metà della tazza (o un terzo in base ai gusti) in uno shaker con del ghiaccio aggiungendo zucchero a piacere, si scuote fino a che il ghiaccio si è sciolto e poi si versa nel bicchiere, magari guarnendo con una fettina di limone o delle foglioline di menta. Il concentrato rimasto può essere conservato in frigo per un giorno e utilizzato al bisogno di modo da avere un tè dal gusto sempre fresco. In alternativa si può versare l'intera tazza in una bottiglia o in una caraffa aggiungere acqua fredda, ghiaccio ed eventualmente zucchero, mescolare e servire. Questa procedura può
essere usata con tutti i tipi di tè, classici e aromatizzati e anche con altri infusi.
Vedrete che non solo il vostro organismo troverà maggiore giovamento, ma anche il vostro portafoglio!

giovedì 12 maggio 2011

viavai tv online: Il Tarassaco

viavai tv online: Il Tarassaco: "STORIA DI ERBETTE:IL TARASSACO di Loredana Circi - biologa nutrizionista - loredana.circi@tiscali.it La primavera, s..."

Il Tarassaco

















STORIA DI ERBETTE:IL TARASSACO
di Loredana Circi - biologa nutrizionista - loredana.circi@tiscali.it







La primavera, subentrata al freddo inverno, ha rivestito i prati e i campi delle nostre zone. La natura si è risvegliata dando il meglio di sé sia come colori e profumi sia come nuovi prodotti di una terra che finalmente ha ripreso vigore.
Anche la nostra alimentazione tende, in questo periodo, a riscoprire sapori e profumi che richiamano il risveglio della terra ed ecco appunto che sulle tavole primaverili vengono presentati vegetali semplici, pressoché ubiquitari ma dalle infinite virtù, uno tra questi è il Tarassaco.
Il Tarassaco, “Taraxacum officinalis” per i botanici, è una pianta erbacea perenne originaria dell’Asia minore, della famiglia delle Asteracee, ubiquitaria e infestante, soprattutto per le sue radici che, sprofondando molto nel terreno, sono difficili da estirpare.
Al nome botanico si affiancano, per il Tarassaco , molte altre denominazioni, dialettali, regionali, che mettono in evidenza sia la sua diffusione sia le proprietà “officinali” riconosciute soprattutto nella medicina “popolare”.
Tra le tante, “dente di leone”, “pissacan”, “piscialletto” sono alcuni degli appellativi che mettono in evidenza la diffusione e le spiccate proprietà diuretiche di queste foglie.
Vediamo, quindi di evidenziare quali proprietà vengono attribuite a questa
piantina, rivalutata dalla medicina moderna prendendo spunto dalla tradizione popolare.
Il Tarassaco esplica le sue attività sulle grandi ghiandole del nostro corpo:
• Agisce sui reni, stimolando la diuresi;
• Agisce sul fegato esplicando un’attività colagoga e coleretica, stimolando e regolando, cioè, la secrezione della bile, favorendo quindi il processo digestivo soprattutto dei grassi ,
• Funge da epatoprotettore e disintossicante;
• A livello intestinale esplica un’attività amaro digestiva tonica, stimolando tutte le ghiandole dell’apparato gastroenterico, risulta inoltre utile in caso di inappetenze e dispepsie;
• È immunostimolante e ipoglicemizzante.
Il Tarassaco contiene numerosi principi attivi, tra questi le vitamine A , B, C, potassio, fitosteroli, principi amari ( tarassicina e tannino), flavonoidi, cumarine , carotenoidi e Inulina (prebiotico che agisce sull’attivazione della flora batterica intestinale.
La raccolta riguarda le foglie più fresche della rosetta basale, prima cioè che si sviluppi il fiore dal caratteristico colore giallo.Le foglie si possono utilizzare semplicemente crude in insalata, o leggermente lessate per non alterare i principi già menzionati.
Il sapore amarognolo si adatta bene a contrastare il neutro di carni bianche, come l’agnello il cui abbinamento risulta particolarmente adatto.
Sull’Altopiano di Asiago, a Conco, per la precisione, si verifica una combinazione pedoclimatica che fa del Tarassaco un’erba così tenera e delicata, quasi dolce da essere utilizzata per impieghi insoliti, quali dolci, biscotti e frittelle, e tale da vantare la denominazione De.Co.

Cosa aggiungere ancora, il Tarassaco è un vero e proprio toccasana per il nostro organismo, e da ultimo, considerando che la sua raccolta richiede tempo e che ci consente di stare all’aperto, approfittiamo di questo momento anche per aumentare la nostra attività fisica.

L'ansia





















L ‘ansia ovvero il diritto di chiamarsi Nessuno
di Antonia Murgo - psicologa psicoterapeuta


E’ tempo di primavera. Tutto intorno a noi ci segnala l’arrivo di questa stagione, attesa con

trepidazione. Essa giunge e ci sottrae alla morsa dell’inverno, ci regala un senso di libertà

accendendo di colore il mondo che, fino a quel momento, era in bianco e nero. Eppure, nonostante

sia stata la speranza che, a volte, ci ha aiutato a superare i momenti più difficili di una stagione

inclemente, adesso che c’è il sole a scaldarci, che godiamo della luce che allunga le

giornate, non possiamo comunque eludere un’ inspiegabile senso di disagio, una non

meglio precisata forma di rifiuto o addirittura un vissuto di ansia, che colgono di sorpresa, prima di

tutto, chi li prova.

L’ansia si attiva nel momento in cui avvertiamo come potenzialmente pericoloso per la nostra

sopravvivenza, sia essa fisica o psicologica,una situazione o un evento.

Le cose si complicano quando lo stato di allarme si prolunga a tal punto da richiedere

ininterrottamente la nostra vigilanza, finché non strutturiamo un vissuto di

inadeguatezza e di impotenza, che va crescendo se il pericolo percepito risulta difficile da

riconoscere ed individuare.

Sappiamo che il corpo ,a volte, risponde al sopraggiungere della primavera attivando alcune

problematiche “psicosomatiche” come allergie, gastriti, dermatiti. Così anche sul piano

essenzialmente psicologico si palesano vissuti depressivi e ansiogeni che, durante l’ inverno,

apparivano ridimensionati. Invece, proprio quando ci sembra il momento migliore per

buttarci alle spalle le angosce esistenziali,queste, inspiegabilmente, bussano alla nostra porta tra i

prati in fiori e il canto degli uccellini, in uno stridente contrasto che ci fa chiedere: perché?

Perché ciò accade, ora che tutto dovrebbe essere più facile e leggero?

Cosa possiamo fare quando, come sempre più spesso avviene, ci sentiamo minacciati e dobbiamo

far fronte a vissuti così difficili e incontrollabili?


La prima- vera è la prima stagione dell’anno. Essa rappresenta, simbolicamente, la capacità di

rinascita e di resurrezione di tutte le forze vitali, dopo la morte rappresentata dal lungo inverno.

E’ la forza rigeneratrice della vita e della potenza insita in essa, che si palesa esprimendosi in tutte

le molteplici possibilità, dispiegando la propria energia trasformatrice su ogni cosa vitale.

Anche noi esseri umani subiamo il contraccolpo della carica energetica di questo stato nascente,

infatti ci capita di avvertire più stanchezza del solito e di sentirci meno brillanti ed efficienti.

Ma questi effetti li riconosciamo già e li attribuiamo, appunto, alla” primavera”.

Invece, quello che non riusciamo a capire è che possano acutizzarsi degli stati psicologici che con

la primavera sembrano non avere nulla da spartire: come ansie, depressioni,senso di

inadeguatezza e angosce.

Questo si spiega con il fatto che la primavera, come abbiamo detto, è la stagione della rinascita.

Ogni mito di rinascita, ogni rito di rinnovamento viene, da sempre, collocato in primavera, amplificandone così il contenuto innovatore , proprio di ogni stato nascente.

Essa, inoltre, è anche la stagione di transizione da uno stato, cioè l’inverno, ad un altro, ovvero l’estate, ed è in questi contenuti simbolici, sconosciuti alla nostra mente ma non altrettanto alla nostra psiche, che trovano spazio ed espressione quelle ansie ed angosce che fino a quel momento erano rimaste sopite.

I contenuti simbolici di trasformazione e transizione che la primavera porta con sé, sono criteri appartenenti alla vita, di cui l’essere umano è l’espressione centrale.

Quindi l’ansia, che si sveglia con la primavera, ci segnala il bisogno di cambiamento, come necessità improrogabile per ogni essere umano.

Morire e rinascere, transitando da uno stato all’altro, è il moto perpetuo, specifico della vita.

In effetti l’ansia giunge a suggerci un diverso modo di pensare a noi stessi e ci indica la resa al

cambiamento la necessità di cadenzare il passo all’unisono con la vita , perché fatti della medesima essenza.

L’ansia è un invito ad abbandonare le sicurezze di sempre, ad uscire dagli schemi rassicuranti della nostra esistenza, dal mondo preconfezionato che ci siamo cuciti addosso. Essa ci invita a cambiare pelle, ed è la risposta con la quale testimoniamo la nostra impossibilità a coincidere alla stessa impronta per sempre, a rispondere alle aspettative di quanti ci vogliono uguali all’idea che si sono fatti di noi, ma soprattutto all’idea che ci siamo fatti di noi stessi e che non intendiamo tradire in nome della paura. La paura di non essere più accettati, la paura del giudizio altrui, di essere lasciati soli, di sbagliare, di vedere crollare le nostre certezze e quel mondo rassicurante, che, ogni giorno, chiamiamo a testimoniare la nostra presenza.

La primavera non è altro che un rimando al cambiamento e alla trasformazione. L’ansia che si attiva è la prova della difficoltà a seguire questa indicazione, in nome di un’identità che temiamo possa andare perduta. Preserviamo noi stessi, ma quello che non sappiamo è che quella parte di noi che tentiamo di custodire gelosamente non ci appartiene più. Fino a quando non la lasceremo andare ci negheremo alla vita.

La vita, infatti, ci insegna che tutto fa parte di un grande ciclo. E’ necessario morire per rifondare il patto d’alleanza con la vita, perché il rifiuto di morire non diventi il rifiuto di vivere.

Allora, paralizzati davanti al senso della morte e nell’impossibilità di comprendere che essa non è separabile dalla vita, ci aggrappiamo a ciò che siamo, nell’illusione di poterci preservare e salvare.

Il corpo, con le problematiche psicosomatiche che si attivano in questo periodo dell’anno, ci segnala come questo progetto si collochi fuori dalla vita. D’altra parte, la nostra psiche, con il risvegliarsi dell’ansia e dell’angoscia, ci impone di lasciare morire il frammento di identità nella quale risolviamo le infinite possibilità di esistere, per ricominciare a navigare nel mare aperto della nostra vita.

Così, davanti a quell’unica possibilità che ci siamo dati e che sola riconosciamo, di fronte all’ansia incontrollabile, dobbiamo mettere in atto una strategia: praticare l’assenza da ciò che siamo o che ci costringiamo ad essere. Diciamoci: “io sono Nessuno”. Facciamo come Ulisse che disse a Polifemo di chiamarsi Nessuno, salvandosi dal Ciclope.

Io sono Nessuno e mi salvo dalla visione univoca che ho di me stesso, visione che mi rende schiavo e prigioniero di un identità che non mi appartiene più … e questo la mia ansia lo sa.

La disoccupata società del lavoro













La disoccupata società del lavoro

di Max Cipelletti - sociologo


Scrivere di lavoro oggi in Italia è delicato, come se si parlasse di un miraggio evanescente che resta realtà per molti facenti parte e che possono ancora destreggiarsi nel mercato, contrariamente a chi ci deve entrare, rientrare e stabilizzarsi. I dati li conosciamo, non serve rievocarli; parlano da soli, siamo soliti affermare. Ed è proprio questo forse il problema: parlano proprio da soli. Pare nessuno, fra coloro che dovrebbero, li ascolti.
Qualcuno dice che l’Italia sta affondando sulla mancanza di lavoro, ma non è tutto lì. Si sta incrementando, di mese in mese, il divario fra le ex classi sociali alte e basse. Quando si dice che il “ceto medio” è in via d’estinzione, si dimentica di ricordare a favore e a danno di chi. Questa è la difficoltà, che i livelli alti e bassi tendono a consolidare la loro posizione sociale, divenendo quindi: sempre più alte o più basse. Rinsaldare un distacco già, naturalmente presente, non agevola il progresso civile, economico e sociale di una comunità; tutt’altro, li arretra. Ciò accade oggi nel nostro Paese; questo la politica oggi ignora totalmente. Chi può decidere non ne parla, chi ne parla lo fa in virtù del fatto che non può decidere.
Così si incrementa l’assai pericolosa disaffezione della popolazione all’unica realtà – quella della politica appunto – che può incidere sul nostro futuro e dei nostri figli (come è consuetudine dire, ammesso che permanga nel tempo l’intenzione di metterne al mondo). Prendere distanze sempre più lunghe dalla classe politica significa autorizzarne sempre di più il suo operato anziché promuoverne un’evoluzione ed un cambiamento.
Le proteste di piazza, di giovani e meno giovani, potrebbe essere solo un inizio di un lungo cammino che, se non vedrà concreti mutamenti nelle condizioni dei lavoratori ed aspiranti tali, rischia di proseguire. Auspichiamo sempre non degeneri in situazioni che minacciano il quieto vivere e disturbano l’ordine pubblico; come purtroppo è già accaduto nei recenti mesi. Interroghiamoci però sul perché qualcuno giunge a determinati livelli, esclusi certamente tutti i generi di estremisti appartenenti a qualsiasi realtà. Forse vi è qualche profonda insofferenza che non trova risposte nei fatti e giunge a forme di espressione che sfociano in atti riprensibili. Andrebbero trovate soluzioni prima che la situazione rischi di degenerare a sfavore della collettività. Se la “vox popoli” non fosse ascoltata, se perdesse qualsiasi cassa di risonanza, e se, qualora l’avesse, qualcuno facesse “orecchie da mercante”, tutto questo risulterebbe diventare assai pericoloso ed è da evitare con soluzioni concrete. Qualcuno dice che è già così, e lo abbiamo notato.
Viviamo questi rischi ma ne siamo poco consapevoli, distratti da molte e molte altre realtà secondarie. Ma vogliamo proseguire nel gratuito ottimismo americano, che pur essendo esemplare quando applicato negli U.S.A., diventa insufficiente nel nostro Paese che esprime una differente realtà economica con diverse problematiche e casistiche. Ci serve un maggior realismo senza perdere la positività. Ne siamo capaci, volendo. Non possiamo continuare ad ignorare ciò che ci circonda; perché un giorno potrebbe mettersi al centro. E sarebbe troppo tardi.

Salutare con stile























Garbo di primavera: ancora sui saluti

di Patrizia Landini - patrizia.l@viavaimagazine.it




Il mese scorso abbiamo iniziato questo excursus sui saluti, vediamo, allora di completare l’elenco di situazioni in cui ci si può trovare durante una presentazione e come comportarsi al meglio, senza eccessi, ma con classe.

° Se ci si imbatte in una vecchia conoscenza, forse troppo vecchia o troppo occasionale, per essere certi che possa ricordarsi di noi, cerchiamo di non esordire con un imbarazzante: “Spero che lei/tu mi riconosca…”, oppure: “ ma non mi riconosci?” lasciando così l’interlocutore in balia del dubbio amletico se e dove ci abbia già incontrato, senza la minima idea di chi gli sta davanti e di come fare per ricordare.
Meglio usare una frase più chiara ed esplicita del tipo: ”Sono Mario Bianchi. Come sta? Ci siamo conosciuti a Venezia, alla Biennale qualche tempo fa”. E’ molto probabile che funzioni!
° Durante la presentazione in un salotto, l’uomo si alzerà sempre, anche quando gli viene presentato un altro uomo; la donna invece rimarrà seduta, a meno che la persona introdotta non sia anziana o di particolare prestigio. Ci si alzerà per l’illustre professore, per la vecchia contessa, per la nonna dell’amico…
Mai e poi mai una donna si dovrà alzare, anche se il giovane che sta per conoscre è l’affascinante delfino del grande partito o della grande industria.
° Può capitare di non ricordare il nome di qualcuno che si deve presentare, meglio non farsi prendere dal panico, ma fare una pausa per permettergli di inserire il suo nome; e se costui non ha la prontezza sufficiente, occorre superare l’imbarazzante situazione con una battuta spiritosa e lasciare a lui il compito di presentarsi.
Per esempio: “Ti/Le presento il migliore conoscitore di vini che io abbia mai incontrato, o... il più simpatico compagno di viaggio…”!
° Spesso si sente dire “salve” come forma di saluto. Salve in lingua latina augurava "Stai bene". Ha tono amichevole e familiare. E’ particolarmente utilizzato dai giovani che non sanno come rivolgersi, ad esempio, a una persona più "matura".
° Quando si trasloca in una nuova casa, il bon ton raccomanda di non dimenticare di presentarsi ai vicini di casa. Da noi, in Italia, non ci sono regole precise, l’importante è che si faccia nel modo più discreto possibile, alla prima occasione d’incontro. Nei Paesi Anglosassoni i vecchi inquilini invitano i nuovi per fare conoscenza.
Tenete sempre presente che, di regola, un'eccesso di confidenza con chiunque e' potenzialmente dannoso in molti sensi ed e' meglio evitarlo sempre, specialmente sul posto di lavoro.
Vediamo alcune di queste regole di base, dettate dal buon senso e dall'educazione, che è opportuno seguire sempre, in ogni tipo di azienda relativamente ai saluti:
° Quando si presentano due persone l'una all'altra, rivolgersi sempre per prima alla persona che occupa una posizione gerarchica superiore: "Dott. Bianchi, le presento il Sig. Rossi, il nostro nuovo Assistant Editor. Sig. Rossi, il nostro Accountant, il Dott. Bianchi".
° Dare la mano a qualsiasi persona si incontra per la prima volta.
° Alzarsi per salutare qualsiasi persona che entra nel proprio ufficio, tranne i colleghi con i quali si lavora solitamente, ed invitarla ad accomodarsi.
° Bussare sempre prima di entrare in un ufficio se la porta è chiusa, ed aspettare di essere invitati ad entrare prima di aprirla. Prima di cominciare a parlare chiedere se si disturba o si sta interrompendo qualche lavoro importante.
° Parlare in modo educato e trasparente. Evitare i pettegolezzi, l'arroganza, le minacce ed il sarcasmo.
° Cercare di essere in buoni rapporti con tutti, ma scegliere di approfondire le amicizie in modo oculato: essere troppo in confidenza con i colleghi con i quali si deve lavorare può essere controproducente.
° Se non si sopporta qualche collega, cercare di mantenere comunque rapporti formalmente cortesi con lui/lei. Non accusare apertamente o adottare atteggiamenti dispregiativi.

° Ringraziare e mostrare riconoscimento per l'aiuto ricevuto dai colleghi.
° I chiacchieroni possono fare perdere molto tempo del proprio lavoro. Le conversazioni indesiderate possono essere gentilmente interrotte senza causare offese con una frase del tipo: "Mi dispiace, ma adesso devo veramente tornare al lavoro".
° Durante una conversazione con il proprio superiore, aspettare sempre di essere congedato e non prendere l'iniziativa di finire l'incontro.

Un piccolo discorso a parte merita il bon ton via internet, ne parliamo sul Via Via magazine di giugno.

Buona educazione a tutti.

Anche l'abito da sposa è bio.














L’abito da sposa biodegradabile, ecologia e risparmio.

di Patrizia Landini - patrizia.l@viavaimagazine.it




Per il momento fanno solo parte di una mostra, ma non è detto che presto non si possano davvero vedere, indossati da una sposa in carne ed ossa ed ecologicamente corretta, anche abiti biodegradabili usa e getta per il proprio matrimonio.
Alla Sheffield Hallam University in Gran Bretagna, alcuni studenti hanno disegnato degli abiti da sposa ecologici e, a pansarci bene, non c’è motivo per essere amanti della natura convinti in ogni campo della nostra vita e fermarci a pochi passi dell’altare con un comune abito in stoffa e pailettes.
Questo manipolo di eco-studenti ha messo a punto una serie di abiti proprio biodegradabili realizzati in alcool polivinilico che si sciolgono a contatto con l’acqua e sono riciclabili.

Jane Blohm, docente di moda del corso i cui studenti hanno sperimentato questi abiti, peraltro piuttosto belli, ha commentato in un’intervista al Telegraph:
“Gli studenti hanno voluto sfidare l’idea che un abito da sposa debba essere utilizzato solo una volta e l’obiettivo è di esplorare gli atteggiamenti dell’usa e getta nella società moderna per la moda. Il progetto è un connubio tra arte e tecnologia che esplora le possibilità di utilizzare materiali alternativi per il nostro abbigliamento.
Attualmente, cinque abiti da sposa biodegradabili sono stati creati per essere esposti al pubblico in una mostra universitaria sul matrimonio sostenibile, anche se gli studenti sperano che la loro idea avrà successo e non si fermerà alla mostra.”

A pensarci bene, l’abito da sposa, pur desiderato, pensato e fatto relizzare al meglio, è spesso un capo di abbiglamento destinato a rimanere nell’armadio per molti anni dopo il fatidico “si”.
Allora, perché non pensare a limitare i costi e a non sprecare tessuto inutilmente?
Infatti l’abito solubile, risponde anche a esigenze di rispormio economico e, in questa stagione di crisi e recessione, non è un elemento da sottovalutare

Il periodo dei matrimoni si avvicina, e ogni sposa che abbia a cuore il futuro del pianeta, potrà finalmente essere in grado di aggiungere un tocco verde al proprio vestito bianco grazie all’abito che si dissolve in acqua e che, mi perdonino i futuri stilisti ecologici inglesi, potrebbe anche avere l’inquietante aspetto e consistenza di uno di quei sacchetti in mater-bi con il quale si smaltisce il rifuito umido.
Allora, agli sposi, oltre ai vecchi e triti auguri scaramantici, che recitano a seconda delle preferenze: “auguri e figli maschi” oppure “speriamo che sia femmina” e ancora “sposa bagnata sposa fortunata” (che in questo caso sarebbe il peggiore) anche un bel: “speriamo che non piova” ci sta e non fa una grinza.

venerdì 22 aprile 2011

Amore e separazione




















QUANDO L’ AMORE SI INTERROMPE!
schio@casadelconsumatoreveneto.it


Quando l’amore si interrompe, di norma, ci si separa.
Dal punto di vista giuridico, la separazione legale consiste nell’interruzione di tutti quei diritti e doveri che i coniugi rispettivamente acquistano e si assumono con la celebrazione del matrimonio, tranne quelli di assistenza e di reciproco rispetto. Otre alle separazioni legali (consensuali o giudiziale) esiste anche la separazione di fatto. Vediamole insieme:

La Separazione di fatto
Questo tipo di separazione si ha quando i coniugi cessano la vita in comune senza alcuna formalità, e senza rivolgersi al giudice. La separazione di fatto non ha alcun effetto giuridico e non sospende nessuno degli obblighi matrimoniali.

La Separazione consensuale
La separazione consensuale è l'atto attraverso il quale i coniugi, di comune accordo, decidono di non vivere più sotto lo stesso tetto e di dividersi legalmente concordando le condizioni che regolano la separazione. La separazione consensuale, disciplinata dall’art. 158 c.civ., si verifica per accordo delle parti, quando cioè sia la moglie che il marito sono d’accordo sull’affidamento dei figli e su tutte le situazioni economiche, patrimoniali e personali che sorgeranno a seguito della separazione. In tal caso il Tribunale si limiterà a ratificare tutti i patti e gli accordi intervenuti fra i coniugi conferendo cosi efficacia alla separazione. Trattandosi di materia di volontaria giurisdizione non sarebbe necessaria l’assistenza del legale ma da circa due-tre anni il Tribunale di Vicenza non accetta più ricorsi presentati direttamente da coniugi o da consultori (probabilmente per il disordine o le
lungaggini che ciò determinava) perciò il passaggio per lo studio legale è tappa obbligata.
Il ricorso deve essere presentato al Tribunale del luogo di residenza attuale di uno dei coniugi.

La separazione giudiziale
La separazione giudiziale (art. 151 c.civ.) è quella pronunciata dal Tribunale, quando i coniugi non sono riusciti a trovare un accordo su tutte le questioni economiche e personali attinenti la famiglia (affidamento dei figli, assegnazione della casa coniugale, assegno di mantenimento). In tal caso si instaurerà una vera e propria causa legale, per la quale è necessario il patrocinio di un avvocato.
Le spese per la difesa sono a carico delle rispettive parti a meno che le stesse, in base al reddito, siano ammesse al Patrocinio Gratuito a spese dello Stato.
Uno dei coniugi si rivolgerà dunque ad un legale, meglio se esperto in Diritto di Famiglia, il quale, sentite le sue ragioni, potrà anzitutto cercare degli accordi con l’altro coniuge, ovvero potrà direttamente depositare il ricorso contenente la domanda di separazione, con l’esposizione dei fatti sui quali tale domanda si fonda. Il ricorso deve essere presentato al Tribunale del luogo in cui i coniugi avevano l’ultima residenza comune.
Al termine di tale causa il Tribunale emanerà la sentenza di separazione.
Inoltre il Giudice, su richiesta di una parte e qualora ne ricorrano le circostanze, può dichiarare a quale dei due coniugi sia addebitabile la separazione, con le relative conseguenze di tipo economico.

La riconciliazione
Gli effetti della separazione cessano automaticamente con la riconciliazione dei coniugi. Questa può avvenire in modo espresso e, quindi, essere validata da un accordo formale, oppure in modo tacito con la ripresa cioè della vita in comune. Non è necessaria quindi alcuna pronuncia del giudice ma è la riconciliazione stessa, in qualunque modo essa avvenga, a far cessare automaticamente gli effetti della separazione.

Se invece non interviene la riconciliazione occorre attendere tre anni dalla data dell’udienza presidenziale per poter chiedere il divorzio che, a sua volta, può essere congiunto o giudiziale.

Con la sentenza di divorzio si sciolgono tutti gli effetti civili del matrimonio e gli ex coniugi possono contrarre nuove nozze.

La mediazione civile

UNA LITE? OGGI SI RISOLVE CON LA MEDIAZIONE CIVILE!
schio@casadelconsumatoreveneto.it




Negli ultimi tempi si sente sempre più spesso parlare di Mediazione Civile. Il Governo ha reclutato addirittura la brava conduttrice nazional-popolare Milly Carlucci che, algida protagonista di un recentissimo spot televisivo, promuove la mediazione civile come facile strumento per comporre le controversie in tempi rapidi e a minime spese. In effetti ha ragione. Ma cerchiamo di capire meglio di cosa si tratti.
Il riferimento normativo su cui si basa la rivoluzione che, salve proroghe dell’ultimo istante!, prenderà avvio il 20 Marzo prossimo, è il decreto legislativo 4 marzo 2010, n.28 (pubblicato nella G.U. n.53 del 5 marzo 2010) sulla mediazione in materia civile e commerciale che regola il procedimento di composizione stragiudiziale delle controversie vertenti su diritti disponibili ad opera delle parti. Attraverso questo decreto viene esercitata la delega conferita al Governo
dall’art. 60 della legge n. 69 del 2009 e viene anche attuata la direttiva dell’Unione
europea n. 52 del 2008. Cerchiamo ora di capire insieme il contenuto…

TIPI DI MEDIAZIONE

• Mediazione Facoltativa
Sempre, in qualsiasi momento due o più persone possono decidere di risolvere la loro controversia in materia di diritto civile e commerciale di fronte ad un mediatore professionale!

• Mediazione Obbligatoria
Si ha mediazione obbligatoria quando per poter procedere davanti al giudice, le parti devono aver tentato senza successo la mediazione.
Dal 20 marzo 2011 la mediazione sarà obbligatoria nei casi di una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Con la recentissima promulga del Capo dello Stato è legge il “decreto c.d. Milleproroghe”: per quel che riguarda la mediazione civile il termine di entrata in vigore della disciplina in materia di mediazione obbligatoria, è attualmente fissato al 20 marzo 2011 così come previsto dall'articolo 24, comma 1, del decreto legislativo n. 28 del 2010.

La disposizione di proroga di dodici mesi (quindi al 20 marzo 2012), riguarda solo le controversie in materia di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti. In tutte le altre materie elencate permane dunque l’ obbligo di tentare la conciliazione davanti ad un mediatore professionale prima di andare davanti al giudice!

• Mediazione Demandata.
Si ha mediazione demandata quando il giudice, cui le parti si siano già rivolte, invita le stesse a tentare la mediazione

PROCEDIMENTO DELLA MEDIAZIONE

Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a quattro mesi, trascorsi i quali il processo può iniziare o proseguire.
• Presentata la domanda presso l’organismo di mediazione, è designato un mediatore, e fissato il primo incontro tra le parti (non oltre quindici giorni dal deposito della domanda).
• La domanda e la data dell’incontro sono comunicate all’altra parte, anche a cura dell’istante.
• Il mediatore cerca un accordo amichevole di definizione della controversia.
• Se la conciliazione riesce, il mediatore redige processo verbale, sottoscritto dalle parti e dallo stesso mediatore.
• Se l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. (in linea generale i mediatori professionali indicati dalla nostra associazione, a completa garanzia delle posizioni dei consumatori coinvolti, vengono invitati a non fare la proposta a meno che non sia richiesta da tutte le parti coinvolte). Nel verbale, contenente l’indicazione della proposta, si dà atto dell’eventuale mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.
In sostanza. Grazie alla convenzione con l’organismo di conciliazione, il consumatore che abbia un problema da risolvere viene presso la nostra sede, illustra la problematica, comunica il nome della/e controparte/i che verrà contattata ed informata che è stata richiesta una mediazione sulla materia in oggetto. Dopo di che compileremo insieme la richiesta di mediazione e la invieremo all’organismo di conciliazione che provvederà a nominare il mediatore incaricato. Detta così sembra molto complesso ma vi assicuriamo che è una procedura estremamente snella e rapida. Più facile a farsi, che a dirsi.

Nella fase della mediazione davanti al mediatore professionale non sono necessari gli avvocati!

LA TUTELA DELLA RISERVATEZZA NEL CORSO DELLA MEDIAZIONE

Il procedimento di mediazione non è soggetto ad alcuna formalità ed è protetto da norme che assicurano alle parti del procedimento l’assoluta riservatezza rispetto alle dichiarazioni e alle informazioni emerse.
Tali informazioni non saranno utilizzabili in sede processuale, salvo esplicito consenso delle parti, e il mediatore sarà tenuto al segreto professionale su di esse.
Quando il mediatore svolge sessioni separate con le singole parti, non potrà rivelare alcuna informazione, acquisita durante tali sessioni, all’altra parte.
La finalità della previsione, propria di tutte le esperienze comparate a livello internazionale, è finalizzata a consentire alle parti di svelare ogni dato utile al compromesso, senza timore che poi possa essere oggetto di un uso contro la parte medesima. I soggetti coinvolti si sentiranno così liberi di manifestare i loro reali interessi davanti a un soggetto dotato di professionalità per comporli.

Provvedimenti giudiziali urgenti.
Anche nei casi di mediazione obbligatoria è sempre possibile richiedere al giudice i provvedimenti che, secondo la legge, sono urgenti e indilazionabili.

ESITO DELLA MEDIAZIONE

L’accordo raggiunto con la collaborazione del mediatore è omologato dal giudice e diventa esecutivo.
Nel caso di mancato accordo il mediatore può fare una proposta di risoluzione della lite che le parti restano libere di accettare o meno. (ripetiamo:in linea generale i mediatori professionali indicati dalla nostra associazione, a completa garanzia delle posizioni dei consumatori coinvolti, vengono invitati a non fare la proposta a meno che non sia richiesta da tutte le parti)
Se la proposta non viene accettata e il processo davanti al giudice viene iniziato, qualora la sentenza corrisponda alla proposta, le spese del processo saranno a carico della parte che ha rifiutato ingiustificatamente la soluzione conciliativa.


SPESE DELLA MEDIAZIONE

Le indennità dovute al mediatore sono stabilite dal decreto del Ministro della giustizia per gli organismi di mediazione pubblici.
Gli organismi di mediazione privati possono stabilire liberamente gli importi, ma le tariffe devono essere approvate dal Ministro della giustizia.
La mediazione è gratuita per i soggetti che nel processo beneficiano del gratuito patrocinio: in tal caso all’organismo non è dovuta alcuna indennità.
Nel caso di mediazione obbligatoria, e quindi per tutte le materie sopra elencate dopo il 20 marzo, in base all’ art.16 del D.M. 180/2010 le indennità devono essere ridotte di un terzo vale a dire per una mediazione di una lite di valore inferiore a 1000 euro la tariffa indicata in tabella di 65 euro sarà ridotta di un terzo. Si andrà concretamente a pagare quindi circa 43 euro. Ecco di seguito la tabella con le tariffe indicate dalla legge:

Valore della lite Spesa (da corrispondersi ad opera di ogni parte)
Fino a Euro 1.000 Euro 65
da Euro 1.001 a Euro 5.000 Euro 130
da Euro 5.001 a Euro 10.000 Euro 240
da Euro 10.001 a Euro 25.000 Euro 360
da Euro 25.001 a Euro 50.000 Euro 600
da Euro 50.001 a Euro 250.000 Euro 1.000
da Euro 250.001 a Euro 500.000 Euro 2.000
da Euro 500.001 a Euro 2.500.000 Euro 3.800
Euro 2.500.001 a Euro 5.000.000 Euro 5.200
oltre Euro 5.000.000 Euro 9.200


Detrazioni fiscali (!!)
Ai consumatori che corrispondono l'indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi, è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito d'imposta fino a concorrenza di 500 euro.
In caso di insuccesso della mediazione, il credito d'imposta è ridotto della metà.


Il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro sino alla concorrenza del valore di 50.000 euro.

Garbo di Primavera





















Garbo di primavera
di Patrizia Landini



L’impressione che mi accompagna in certo momenti della vita, in coda al supermercato, aspettando davanti a scuola è che, più che l’educazione, si sia perso il rispetto per la persona, quindi per noi stessi.
Lungi da me voler scrivere un trattato ispirato a Mons. Della Casa, vorrei solo ricordare che volersi bene e rispettarsi è la prima e basilare forma di bon ton, per usare un gallicismo.

Perchè, allora, non ricominciare dalla base, tornando ad imparare come relazionarsi con chi incontriamo di giorno in giorno, sia sconosciuto sia famigliare; forse, la nostra società potrebbe ritornare ad avere un aspetto formale, che diventerebbe, quindi, sostanziale.
Un grande giornalista, tra i miei preferiti, Corrado Augias, ha scritto che ” gli uni e gli altri, chi sta in alto e chi no (in riferimento alla società), partecipiamo della stessa diffusa mancanza di quella mistica delle forme che altrove dà alle manifestzioni della vita collettiva un’apparenza di decoro diventata da noi sempre più rara.”
Questo è, a mio avviso, la base del comportamente sociale, le forme portano con sè la sostanza, non dobbiamo mai darlo per scontato.

Allora, se si deve tornare alla base, sarebbe utile partire dalle presentazioni.

° Salutare è buona educazione, rispondere è d’obbligo. Ma quale sarebbe la regola? Il più giovane saluta il più anziano, l’uomo la donna e così via.
Inoltre, se salutare tutte le persone che si conoscono è doveroso, è altrettanto doveroso salutare quelle che si incontrano casualmente: il cameriere del bar, la signora delle pulizie chi si incrocia per le scale

° Meglio tralasciare i titoli accademici, onorifici e nobiliari visto che, se meritati, salteranno agli occhi del nostro interlocutore dalla prima conversazione, oppure usarli con discrezione.
Occhio a non assegnarsi da soli i propri titoli: “Sono il Dottor…, Architetto…”. Sarebbe davvero imperdonabile!

° Introdursi da soli è piuttosto difficile, così il più delle volte si viene presentati e, per evitare che questa semplice, quanto inevitabile cerimonia, diventi motivo d’imbarazzo, è bene che sia rapida e precisa: il nome e cognome, sempre nell’ordine, introdotti dal “ tu conosci…” o “lei conosce…”, a seconda dei casi.

°Si presenta sempre la persona meno importante alla più importante, la più giovane alla più anziana, l’uomo alla donna.

° La prima conversazione non deve mai prendere le mosse dopo il classico “Piacere” che, se pur diffusissimo, in questa fase iniziale del rapporto è tutto da verificare e suonerebbe falso, troppo compiacente e anche un po’ipocrita.
Chi mi assicura che sarà un piacere incontrare questa persona?.
Meglio il semplice “Buongiorno” o “Buonasera”, accompagnato da un sorriso e un leggero cenno del capo.
Attenzione a non aggiungere l’anglosassone “Come sta?”, si potrebbe andare oltre il piano delle formalità, dando l’impressione di interessarsi ai prpblemi di salute altrui, senza contare che se, il nostro interlocutore trae piacere dal racconto delle proprie magagne, siamo incastratii
° Qui apro una parentesi, dedicata al baciamano. Tornato di gran moda, è da considerarsi oggi una galanteria raccomandata solo a ricevimenti, cocktail, ma è fuori luogo e ridicolo al lavoro e nei luoghi pubblici.
Un tempo si faceva solo alle donne sposate, ora si fa a tutte, signore e signorine, purché al di sopra dei trent’anni. Importante è che l’atto sia appena accennato, con un piccolo inchino e che le labbra non sfiorino la mano della signora.
° Nata come simbolo di pace ”ti offro la mano, priva di qualsiasi arma”, e segno di grande rispetto, da sempre la stretta di mano fa parte delle consuetudini umane.
Occorre che sia decisa, ma non troppo energica, rapida, ma non frettolosa. Sarebbe davvero inopportuno stringere una mano inerte e molle o peggio ancora sentirsi stritolare le dita.
Una stretta di mano può dirci molto su chi abbiamo di fronte.
° È bene tenere presente che esiste una scala di valori e di confidenza e di rispetto che non può avvalersi sempre e soltanto della forma colloquiale del “tu”. E allora, se non si è più ragazzi, o sul lavoro, e con chi ci offre un servizio, barista, cameriera, meglio mantenersi entro la barriera del “lei”.
Passare dalla forma di cortesia, ovvero il lei, a quella confidenziale del tu è un iniziativa che parte solo dalla persona più anziana o importante.
° Importantissimo non dare tanti baci e troppo facilmente: sviliscono il gesto e il suo significato. Quelli amichevoli è importante che siano silenziosi e poco schioccanti.
° Signora o signorina? È la domanda che molte donne si sentono ripetere anche a sproposito.
Vuol dire che a qualcuno ancora sfugge il fatto che il termine signorina si debba utilizzare solo in caso ci si rivolga a giovanissime ragazze. Fu infatti l’Unione Europea, qualche anno fa, a decretare che ogni donna oltre i diciotto anni dovesse venir chiamata signora. Il seguito alla prossima puntata.

mercoledì 20 aprile 2011

L'asparago, ovvero quando c'è un re a tavola



















Dr.ssa Loredana Circi - nutrizionista loredana.circi@tiscali.it




Finalmente l’inverno è trascorso, la primavera ha fatto ormai capolino e la terra, quella terra che nel lungo è freddo inverno è sembrata addormentarsi e arrendersi al grande gelo, cede ora i frutti del suo instancabile lavoro.
Tra questi vi è L’ASPARAGO, in tutte le sue varietà.
Il termine Asparago, della pianta Asparagus officinalis, ha origine greche e persiane e significa germoglio. Difatti, essendo la pianta dotata di rizomi, cioè fusti modificati che rimangono sotterranei, ciò che noi mangiamo e vediamo spuntare dal terreno sono i turioni, la parte commestibile , i germogli appunto.
Il turione, nel caso di coltura forzata e selezionata, si presenta di colore bianco, mentre lasciato crescere in pieno campo, a seguito della fotosintesi clorofilliana presenta il classico colore verde.
La storia dell’asparago è pressocchè millenaria, si parla dei suoi consumi in tutta l’area del bacino mediterraneo a partire dagli egizi, gli spagnoli, in Asia Minore 2000 anni fa, mentre i romani già nel 200 a.C. possedevano manuali con minuziosi particolari sul loro
metodo di coltivazione e anche sulla loro preparazione. Citati nei trattati di Teofrasto, Catone, Plinio e Apicio erano molto graditi dagli imperatori che spedivano navi apposite per poterne acquistare in grandi quantità.
Il Veneto è una delle regioni più quotate nella produzione dell’Asparago, pianta che richiede terreni di origine fluviale, corrispondenti all’habitat originario della specie, e clima ventilato, ma senza eccessivi sbalzi di temperatura. Questa situazione ideale avviene nella valle del Brenta, zona produttiva del fiore all’occhiello di Bassano del Grappa e dei comuni territori ad esso limitrofi cioè la varietà dell’ Asparago Bianco di Bassano d.o.c dal 2007, ma anche in altre località, dall’Adige al Piave dove la stagione di raccolta avviene secondo tradizione da San Giuseppe, il 19 marzo, a Sant’Antonio, il 13 giugno.
Aneddoto interessante è la leggenda secondo cui fu proprio Sant’Antonio di Padova a portare nel territorio bassanese gli asparagi per imbonire Ezzelino da Romano.
La produzione veneta si distingue per le varietà a turione bianco, polpose, tenere e croccanti allo stesso tempo.
Oltre che per la sua duttilità in cucina, l’asparago, infatti , viene utilizzato sia in piatti classici della tradizione “ uova e asparagi” sia in abbinamenti più fantasiosi, a questo germoglio si attribuiscono sia numerose proprietà nutrizionali che officinali.
Essendo della stessa famiglia dell'aglio e della cipolla, l'asparago condivide con essi anche alcune proprietà positive (grazie all'effetto diuretico è un coadiuvante contro gotta, calcoli renali, reumatismi e idropisia). In particolare esso ha un ruolo attivo nella diminuzione di casi di eczema. Il consumo di asparagi da parte delle donne in gravidanza riduce sensibilmente la possibilità che il feto sviluppi malformazioni, soprattutto la spina bifida.
La composizione chimica dell'asparago è la seguente:
L'asparagina è uno degli amminoacidi presente in abbondanza, che serve alla fabbricazione di numerose sostanze proteiche, e dunque per la trasformazione dello zucchero
Ricco di rutina che serve a rinforzare le pareti dei capillari
Acido folico è presente in abbondanza
Manganese e vitamina A che hanno un effetto benefico sui legamenti, sui reni e la pelle.
Fosforo e vitamina B che permettono di contrastare l'astenia
Calcio, magnesio,potassio, fosforo,
magnesio.
E’ altresì povero di sodio, carboidrati, grassi, l’acqua rappresenta il 90 %, la parte edibile 52%.
Per le esigue calorie, 25 kcal/100 gr, sono particolarmente indicati nelle diete dimagranti, ma sono anche ricchi di acido urico, per cui è sconsigliato il consumo a coloro che soffrono di cistite, gotta e infiammazioni ai reni.

Gli asparagi hanno la caratteristica di stimolare l'appetito, inoltre, riducendo il ristagno di liquidi nei tessuti grazie alla presenza di purine (che in seguito alla loro scissione originano acido urico), sono indicati per chi vuole eliminare la cellulite; tuttavia bisogna ricordare che lo stimolo diuretico esercitato dagli asparagi può risultare irritante per i reni, tanto che questo ortaggio è in genere sconsigliato a chi soffre di insufficienza renale e di nefrite.

Particolarità:
gli asparagi contengono asparagina o acido aspartico, che conferisce all'urina il tipico odore dovuto alla presenza del metilmercaptano, la comparsa di questo particolare odore pregnante e sgradevole nell'urina, non vi deve preoccupare, anzi, il vostro sistema renale funzione bene!

Psicoterapia, a cosa serve



















A cosa serve la psicoterapia?
di Antonia Murgo - psicologa psicoterapeuta, specializzata in psicosomatica - Ist. Riza Milano - riceve a Padova 338.4264513


Abbiamo cercato invano la soluzione, ascoltando consigli e suggerimenti di esperti o presunti tali, ci siamo accontentati delle parole dell’amica , sottoponendo il problema alla parrucchiera di fiducia, per l’occasione anche valida consigliera in materia”perché anche lei è passata per la stessa esperienza “ e all’ estetista “perché il contatto con la gente la rende un po’ "psicologa “. Magari circondati da parenti vari che dicono “devi reagire, non hai bisogno dello psicologo c’è la puoi fare benissimo da solo”. Solo quando abbiamo provato di tutto, quando ci
ritroviamo impotenti e anche depressi perché il nostro disagio è ancora lì, allora ricorriamo alla psicoterapia. Perplessi, increduli, spaventati di cambiare anche ciò che non desideriamo cambiare, con il timore che saremo condotti a fare cose che non vogliamo fare. Con la paura di strutturare una dipendenza che non ci libererà più dallo psicologo, e, infine, con la paura, sicuramente inconsapevole, di poter finalmente risolvere il problema intorno al quale abbiamo
coagulato la nostra vita. Se ciò dovesse verificarsi, cosa ne sarà di noi? Cosa ne faremo di quella libertà che avremo conquistato? Se all’improvviso quella forma di controllo ,sia pure malato, che la problematica aveva garantito sulla nostra vita (e non solo sulla nostra vita! ) venisse a mancare? In fondo il problema lo conosciamo bene, ma la libertà da esso che cosa sarà e dove ci porterà?

Con queste contraddizioni, con questi dubbi amletici, entriamo nel percorso terapeutico, chiedendoci cosa potrà aggiungere uno psicoterapeuta alle cose che ci hanno sempre ripetuto tutti e che sappiamo già. Questo è il tentativo di ridimensionare un potere che noi per primi attribuiamo alla psicoterapia, con il progetto, inconscio, di vanificare, qualsiasi possibilità di uscire dal disagio.

Quindi si giunge sulla soglia di uno studio, caricando il percorso terapeutico di aspettative di gran lunga superiori a quelle che possiede, e questo non perché “l’aiuto psicoterapico non serve poi a molto” ma perché le aspettative sono inadeguate e per-vertite rispetto ai nostri autentici bisogni.

Nel dire che ogni persona, amica o conoscente, alla quale ci rivolgiamo può dare comunque anche dei buoni consigli, tuttavia occorre ricordare che un aiuto non vale l’altro e soprattutto, cosa quanto mai importante, attribuire le rispettive competenze e riconoscere le figure professionali qualificate a rispondere alle nostre esigenze, è il primo passo per un cammino di stima e rispetto verso noi stessi e gli altri.

È necessario, a questo punto, sfatare un’altro luogo comune purtroppo molto diffuso, che considera chi si rivolge allo psicologo una persona “ malata”.

Questo giudizio va visto come il retaggio di un’ancestrale paura ed ignoranza nei confronti della malattia mentale.

La capacità di rivolgersi ad uno psicoterapeuta in un momento di bisogno, quindi il saper chiedere aiuto, è indicativo di un grado di evoluzione e consapevolezza che fa la differenza tra chi è sano e chi è malato.

La vera patologia sta in chi non sa riconoscere la propria sofferenza e il proprio bisogno di aiuto.

La psicoterapia è un viaggio. Qualunque sia il punto di partenza è un viaggio verso un paese il più straordinario e affascinante che abbiate mai conosciuto e nello stesso tempo uno dei territori più lontani e sconosciuti che esistano: noi stessi.

Da autentici viaggiatori bisogna partire con l’umiltà di chi non sa. Bagaglio leggero, disponibili a liberarsi dalle zavorre mano a mano che si procede, affidandosi
all’ignoto, in compagnia della paura che è sempre presente in un viaggio verso territori sconosciuti.
Imparando,strada facendo, che la paura appartiene all’Io, cioè a quella parte di noi che crede di sapere cos’è meglio per noi stessi. Scoprendo invece il coraggio di procedere con l’unico desiderio, quello di riconoscere la vibrante unicità che ci appartiene.

E’ proprio lei infatti, la molla che fa si che il viaggio abbia inizio.

Affidandoci a ciò che di noi non sappiamo, impareremo ad assecondare l’istinto infallibile che ci abita e che sa quando è tempo di imparare a dialogare con se stessi.

Saremo noi a decidere la destinazione, noi a scegliere il paesaggio da visitare tra i tanti possibili.

Lo psicoterapeuta ci accompagna, fa del nostro viaggio il suo viaggio, è un compagno che ci incoraggia, ci aiuta a comprendere ciò che non è possibile capire, ad accettare la paura, ad allontanare il giudizio da ciò che scopriremo di noi stessi per rivelarci la meraviglia dei nostri paesaggi interiori.

Non sarà lo psicoterapeuta ad imporre il passo né a decidere la meta. Non combatterà le nostre battaglie, ma ci passerà le armi.

Non giudicherà le nostre difficoltà né facili né difficili; esse sono come noi le

viviamo. Non considererà la nostra vita ne bella né brutta, ma semplicemente Nostra e, in quanto tale, unica e degna di attenzione e accoglimento. Non ci darà la soluzione, ma farà in modo che ognuno di noi possa trovare dentro di se il “come fare”. La nostra sarà” un’alleanza terapeutica”.

Chi non ha mai avuto bisogno di una guida!

Chi potrebbe farne a meno nel viaggio più avventuroso ed affascinante che esista?

Perfino Dante, il Sommo Poeta, si fece accompagnare da Virgilio nella sua discesa agli inferi, metafora di ogni viaggio che si compie in ciò che è oscuro ed ignoto.

La “Divina Commedia” infatti, oltre a rivelarci che la consapevolezza e la conoscenza sono la base di qualsivoglia percorso umano “ fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”.(Inferno, canto XXVI), sta a suggerire l’importanza che un tale cammino si compia in compagnia di una guida, che ci conduca negli inferi con in tasca il biglietto per il ritorno.

Tea time























Tea Time
di Valeria Vicentini

Valeria Vicentini laureata in DAMS Teatro all'università di Bologna e autrice con Amedeo Sandri del libro Mangiare Veneto: sette province in Cucina, da alcuni anni si occupa dello sviluppo prodotti per l'azienda del padre, importatrice esclusiva del Tè Mlesna in Italia.
Grazie al lavoro ha avuto l'occasione di compiere un lungo viaggio in Sri Lanka che l'ha portata ad approfondire la conoscenza del tè in tutti i suoi aspetti aumentando la sua passione per questa antichissima bevanda. In attesa appunto che esca il suo primo libro sull'argomento, ci accompagnerà con questa piccola rubrica alla scoperta del mondo del tè e dei suoi segreti.



Quando ero piccolina il tè con i biscotti era la merenda del pomeriggio per eccellenza, la mia nonna lo preparava con il limone e lo zucchero, e sicuramente non si chiedeva di che tipo fosse: al supermercato se ne trovava uno solo, il tè nero, ma lo si chiamava semplicemente tè, era solamente in bustina e per molti la sua unica funzione era quella di far passare il mal di pancia.
Del resto l'Italia è da sempre un paese coffee-drinker: i cosiddetti tea-drinker, come ad esempio l'Inghilterra, la Russia, la Cina e l'India, consumano fino a 2 kg di tè pro capite all'anno, mentre gli italiani in media non superano i 150 grammi.
Tuttavia negli ultimi 20 anni molte cose sono cambiate: la Cina si è aperta al mondo permettendoci di scoprire il benefico tè verde, abbiamo visto spuntare nelle grandi città negozi specializzati nella vendita di tè sfuso e si sono moltiplicate le pubblicazioni volte a svelare i segreti di questa esotica bevanda che prima consideravamo sommariamente “inglese”. Insomma la sete di tè sta crescendo anche negli italiani stimolata dalla diffusione di una “cultura del tè”.

Cominciamo quindi il nostro viaggio alla scoperta della bevanda più bevuta al mondo (dopo l'acqua!) partendo da un problema quotidiano spesso sottovalutato e cioè: come si prepara una buona tazza di tè?
Forse non tutti sanno che il fondamentale punto di partenza è l'acqua, chiamata infatti la “madre” del tè.
Secondo Lu Yu, il filosofo cinese che nel VIII secolo d.C. scrisse il Canone del Tè, l'acqua ideale è quella di montagna proveniente dallo scioglimento della neve e delle stalattiti. Ora, senza arrivare a tanto, basterebbe usare acqua pura e leggera, cioè con un PH quasi neutro (da 6,5 a 7), un basso residuo fisso e una presenza di carbonato di calcio inferiore ai 300 mg/l.
E' possibile trovare sul mercato acque in bottiglia con queste caratteristiche, ma il mio consiglio è quello di usare l'acqua del rubinetto filtrata: esistono depuratori da installare direttamente al rubinetto oppure pratiche caraffe filtranti; questi sitemi oltre ad essere più comodi e alla lunga più economici sono anche rispettosi dell'ambiente evitando lo spreco di bottiglie di plastica.
L'importante è ricordare che quando il nostro infuso forma una pellicola opaca sulla superficie significa che l'acqua è troppo dura e calcarea: allora è inutile comprare tè di alta qualità perché il risultato sarà comunque mediocre, al contrario un tè di bassa qualità infuso in una buona acqua può addirittura sembrare migliore.

Il secondo elemento da considerare è la temperatura di infusione: i tè neri e oolong vanno infusi a 95°C, quelli verdi introno ai 70°C e quelli bianchi a 60°C. Se non si vogliono acquistare dei termometri appositi (molto costosi) l'ideale è prestare attenzione alle diverse fasi di bollitura. Diceva LuYu: “Quella con bolle simili a occhi di pesce e suono debole è considerata prima bollitura, quella in cui le bolle simili a perle di una collana, si raccolgono lungo il bordo del recipiente come in una sorgente gorgogliante è considerata la seconda bollitura, quella simile a marosi che montano e onde che si infrangono è considerata la terza bollitura”. La prima, detta anche acqua “bambina”, non è usata per nessun infuso perché non è salutare, la seconda definita “matura” è ideale per i tè verdi e lasciata raffreddare un paio di minuti va bene per i tè bianchi, la terza è sulla soglia dei 100°C e va benissimo per i tè neri e oolong. Si consiglia di non lasciare l'acqua a bollire a lungo altrimenti “invecchia” e non è più utilizzabile.

Prima di procedere all'infusione si dovrebbe scaldare la teiera sciacquandola con un po' di acqua calda; quindi vi si mette un cucchiaino di tè sfuso per ogni tazza (ma la quantità va provata e definita secondo il gusto personale) e poi si versa l'acqua calda con movimento circolare in modo da bagnare bene tutte le foglie. In Cina per i tè verdi si usa fare prima un veloce risciacquo delle foglie versandovi un po' di acqua calda che viene subito buttata, questo serve a pulire il tè dalle impurità e a togliere l'amaro all'infuso.
Le foglie vanno quindi lasciate in infusione dai 3 ai 5 minuti in base all'intensità che si vuole ottenere. Se si usano i filtri preconfezionati il concetto non cambia, solo i tempi sono più veloci perché il tè all'interno è sminuzzato e quindi infonde più rapidamente.
Ottenuta l'intensità desiderata si possono rimuovere le bustine o filtrare le foglie, che se sono di buona qualità possono essere usate una seconda volta. E' importante non lasciare troppo a lungo il tè in infusione altrimenti il gusto sarà amaro; e ovviamente non bisogna mai bollire le foglie con l'acqua!
A questo punto possiamo servire il tè avendo l'accortezza di versarlo con un flusso regolare e dall'alto, cioè tenendo la teiera quanto più lontana dalla tazza di modo che cadendo l'infuso si ossigeni sprigionando tutto il suo aroma.
Ultima accortezza: il tè col tempo ossida sviluppando degli acidi che possono infastidire gli stomaci più delicati, pertanto è meglio berlo sempre appena fatto e mai cadere nella tentazione di riscaldare un tè che si è raffreddato!
In fondo, preparare un buon tè non è poi così lungo e complicato come può sembrare, vedrete che in poco tempo diventerà un abitudine e la soddisfazione del palato sarà tale che vi chiederete come avete fatto ad accontentarvi finora!

martedì 15 febbraio 2011

Amore e sessualità

















Amore e sessualità
Dott.ssa Stella de Chino - fisioterapista
info@stelladechino.net



Il sesso senza amore è un’esperienza vuota, ma tra le esperienze vuote è una delle migliori. Woody Allen
Quale uomo non si troverebbe d’accordo con questa frase?
Le donne invece avrebbero qualche resistenza.
Ma quando in una donna si fa strada la certezza di non aver vissuto pienamente la propria sessualità il rischio di rottura di un rapporto anche lungo è altissimo
E’ con questa consapevolezza che molte donne verso i 40 anni vanno in crisi.
Una vita passata a considerare il sesso come qualcosa di poco importante, di secondario all’amore e improvvisamente si scopre di non conoscersi.

“ Quando una donna ti chiede cosa le sta succedendo, vuol dire che è già successo con un altro”. Roberto Gervaso
Reduci spesso di “un unico amore” adolescenziale, sposate senza aver fatto molte altre esperienze, le donne si pongono, nel mezzo dal cammin della loro vita, (che per i cinesi corrisponde alla massima potenza sessuale femminile) domande molto profonde sulla sessualità e sull’amore.
Alcune di queste domande sono:
“Ma l’orgasmo…cos’è?”
“Posso darmi piacere da sola?”
“Perché non sento la mia vagina e il mio clitoride si?”
“Perché il mio clitoride è ipersensibile?”
“Ho orgasmi notturni ma non riesco a raggiungerli con il mio partner…”
“Dipende da me o da lui?”….
Intuire che la sessualità non è di minor valore dell’amore e che un’amore senza corpo non è amore può davvero minare una relazione ma è espressione di un grande balzo di consapevolezza nel proprio percorso personale.
Io accolgo con gioia questi risvegli e per quello che mi è possibile accompagno nel percorso di scoperta.
A volte in questo percorso un ruolo importante lo gioca un nuovo amore…una persona che improvvisamente risveglia quella sessualità che era assopita sotto la cenere di una relazione senza passione.
"Mi sa che il vero uomo è un pò come l'apparizione di un UFO, tutte un pò ci credono, tutte un pò ne parlano, ma nessuna giurerebbe davvero di averlo visto." Luciana Litizzetto
Luciana Litizzetto rappresenta l’archetipo di un femminile disilluso, che ironicamente “accetta” i limiti di un maschile mai sufficientemente “adeguato” ai bisogni sessuali ed affettivi di una donna matura.
Spesso “la fuga” del cinquantenne verso la donna molto più giovane nasconde la paura verso l’essere complesso che si ha davanti a sé.
Ma cosa cerca una donna nel sesso? Dagli scritti delle donne che partecipano ai miei corsi emerge spesso un forte bisogno di “sensualità”, di carezze diffuse in tutto il corpo, di baci lenti, di mani esperte e attente. La donna cerca nel maschio quella qualità tanto cara ai taoisti che è la presenza, per poter sperimentare poi l’essenza femminile, cioè l’abbandono.
Come posso lasciarmi andare se non sento nel mio patner la capacità di accogliermi?..come posso staccare il cervello se sento fretta, ansia e agitazione?
Frasi tipo “gli dico spesso che i miei capezzoli non sono le manopole di una radio!” mi fanno sorridere ma mi intristiscono anche.
La presenza maschile richiede che il lavoro rimanga fuori dalla porta della camera da letto e che si sia disposti a “sentire” il corpo della compagna nella sua totalità. Richiede l’abbandono degli stereotipi pornografici per andare alla scoperta del proprio “personale stile di contatto”.
Quante donne sognano un uomo che le messaggi…che le accarezzi ovunque senza fretta?
Ogni donna ha una sua “velocità di eccitazione” e aria fuoco e terra.
Una donna di natura fuoco si accende in fretta, è un po’ come un turbo e cerca un uomo che tenga il suo ritmo.
Una donna di natura “terra” è sensuale e lenta…cerca seduzione, sfioramenti e carezze e raggiunge il piacere molto lentamente..Ama il dopo orgasmo e resterebbe a letto a lungo.
Una donna aria viene attratta nei pensieri e sedotta mentalmente prima che fisicamente.
Ha bisogno di sentirsi affine nel dialogo e nella visione del mondo e delle cose per poter percepire il richiamo della foresta.
Ma ogni donna poi è tutte e nessuna delle precedenti nature…Universo complesso e affascinate per chi voglia smettere di vederla solo come “gnocca”.
Il vero uomo è quello che non direbbe mai “me la dai?” ma che vuole TE tutta intera, non un pezzo di te.
E’ quello che ti guarda negli occhi e entra dentro di te prima da li.
Un’ utopia?
Assolutamente no…semplicemente un uomo in cammino, non ancorato a schemi sicuri di seduzione ma sempre disponibile al cambiamento perchè anche se ama un'unica donna è consapevole che non è mai la stessa, muta e si trasforma continuamente e la sessualità con lei si evolve.
Un vero uomo non rifiuta il cambiamento, non è statico,ma si rinnova.Luciana…anche gli UFO prima o poi, atterrano. Te lo assicuro!

"Legare l’amore al sesso è stata una delle trovate più bizzarre del Creatore." Milan Kundera
E’ bizzarro si pensare che sesso e amore debbano prima o poi connettersi poiché nel nostro immaginario si associa la sessualità a qualcosa di estremamente carnale e animalesco.
Se da un lato le prime esperienze sessuali sono spesso vissute come scoperta e scarica di energia in esubero man mano che la persona si evolve e matura il desiderio di vivere il sesso come ponte per esperienze più profonde si fa maggiore.
Molte sono le donne che venute a cercarmi per una problematica uroginecologica chiedono poi quelle cose che non hanno mai avuto modo di chiedere a nessuno.
Se il maschile tende spesso ad accontentarsi il femminile è più inquieto e chiede, chiede insistentemente: ma si può “sentire di più”? Si può coinvolgersi in modo diverso?
Legare sesso e amore è bizzarro perché il sesso ci è sempre stato presentato come qualcosa di “sporco” o molto simile al mangiare: fatto per soddisfare bassi appetiti.
Eppure nella culture orientali la sessualità è strumento per accedere al sacro.
Forse è il nostro concetto di Amore che va cambiato. Amore non come platonico affetto, come rispetto e dedizione..o almeno non solo questo.
Amore come legame profondo che non vuole barriere…teso alla continua reciproca scoperta.
Amore come anelito di simbiosi momentanea dove da due si diventa UNO.
Sessualità come INCONTRO DI ANIME E DI CORPI. Sessualità come occasione per levarci la maschera e mostrarci per quello che siamo davvero: nudi, dentro e fuori.
E nell’incontro con l’altro incontrare anche i nostri bisogni, le nostre paure e pudori.
Può esserci sesso senza amore certo. Anche del buon sesso. Dell’ottimo sesso.
Ma deve comunque crearsi INTIMITA’… e se ci crea…anche se non vogliamo ammetterlo una forma d’amore c’è perché permettiamo all’altro di entrare dentro di noi, nel nostro profondo, in quella sfera che condividiamo solo con noi stessi.

"Amore è stare svegli tutta la notte con un bambino malato. O con un adulto molto in salute." David Frost
Alla fine di questo piccolo viaggio qualche suggerimento per una sessualità amorosa più completa.
La vita inizia e finisce con un respiro…perché fare l’amore in apenea? Ricordiamoci che se si porta più consapevolezza al respiro si sente molto di più e si pensa molto di meno.
La lentezza aumenta le percezioni: gli stereotipi pornografici non corrispondono molto alla fisiologia umana……più lentamente si tocca e più profondo è il godimento.
L’eiaculazione precoce sembra associata alla masturbazione turbo appresa in adolescenza per non farsi scoprire: investi in salute, godi lentamente.
I preliminari non sono mai troppi: quando ‘è confidenza si tende a saltarli. Ma la vagina reagisce all’eccitazione modificandosi e allungandosi, predisponendosi al rapporto. Quante donne con problematiche anche lievi (prolasso, infiammazioni vulvari), potrebbero godere comunque se solo il patner avesse queste piccole attenzioni?
Le zone erogene sono diffuse: esploriamole con fantasia. C’è una così scarsa conoscenza del corpo nella nostra società che si finisce con il toccare i soliti tre punti. Prendiamo dell’olio da massaggio e proviamo a toccare ed esplorare TUTTO il corpo. Variamo “gli stili di tocco”: lento, veloce, superficiale, profondo.
Venire è un verbo orribile, dovendosi riferire a un momento estatico. Edmund Wilson
Concludiamo parlando di orgasmo. La frase che ho citato è davvero bella.La parola venire non rende le percezioni che un orgasmo veicola.
L’orgasmo infatti può avere diversi livelli di intensità a seconda del grado di coinvolgimento e di consapevolezza corporea.
Si può percepire solo a livello genitale.O può coinvolgere tutto l’essere della persona portando a stati estatici.
Orgasmo di valle o orgasmo multiplo sono le espressioni che definiscono quello stato di profonda beatitudine e di piacere senza picchi ma continuo che si raggiunge facendo l’amore a lungo, coinvolgendosi, respirando, nella lentezza, insomma con quelle caratteristiche di cui abbiamo parlato prima.
Orgasmo utero annessiale per la donna significa piacere che si prolunga fino all’ultero e lascia un senso di profonda gratitudine verso il compagno e appagamento duraturo.
Orgasmo solo clitorideo descrive un piacere più superficiale simile all’orgasmo solo genitale maschile. Soddisfa momentaneamente ma dopo un po’…si ha di nuovo fame.
Riconoscere e comprendere la qualità del piacere è una bella sfida perle coppie che desiderano amarsi non solo a San Valentino.
Consiglio a tutti la lettura di un meraviglioso libro di Jacopo Fò, La scopata galattica. Non è quello che può sembrare, ma illumina menti corpi e cuori sulla connessione profonda che c’è fra Sesso e amore.
Buon San Valentino!!!!



Prossime Iniziative in programma:
Maschio e femmina li creò: la percezione dell’area pelvica per il benessere sessuale e uro genitale. Stage di 4 ore domenica 20 febbraio, dalle 9 alle 13. Necessaria iscrizione. Aperto anche ai maschietti!

Corso Perineo e sessualità: viaggio attraverso i 4 elementi. Percorso di consapevolezza corporea al femminile attraverso la danza e la voce. Inizio martedì 22 febbraio dalle 19 alle 20.30. Necessaria iscrizione.

Camera con vista























AmoreMente
Max Cipelletti
massimo.cipelletti@email.it



Lo si cita ogni giorno in infinite situazioni, le più svariate ed improbabili: il principe dei sentimenti. Forse sempre più inflazionato quanto bistrattato dalle occasioni che lo chiamano in causa come sublime protagonista e poi lo riducono ad un misero partecipante.
L’amore mantiene in vita il mondo ma non sempre lo muove giacché a farlo sono frequentemente i suoi antagonisti più brutali. Cosa sarebbe una poesia senza di lui?, quante canzoni ruotano attorno ad esso?, e se dovessimo elencare i film che gravitano sull’amore? Primo attore indiscusso ed oggetto di studio da sempre, poiché generatore di comune curiosità ed interesse.
Eppure ogni volta si manifesti riesce a sorprendere, a stravolgere la quotidianità, lasciando traccia indelebile in ciò che diverrà il nostro passato, e facendoci dimenticare del futuro. Galvanizza sul presente come se il resto divenisse accessorio, o, meglio ancora, inesistente. Qualcuno addirittura asserisce che l’amore serve per poter accettare la nostra mortalità, in quanto avendolo vissuto ci consente di essere sereni nei confronti della conclusione della vita terrena. Pensiamo che potenza esso può avere.
Talora crea delle problematiche, anche enormi: di sofferenza, di stravolgimento degli equilibri vitali, ed anche economici; ma nonostante tutto questo e molto di più, la maggior parte delle persone lo ricerca sempre, spera di esserne colto per vivere forti emozioni che solo lui può donare.
Quello che la nostra società compie nei confronti del più nobile dei sentimenti è, però, uno sgarbo, dacché viene sempre più ostentato, esplicitato ed esternato, quando la sua natura sarebbe afferente alla sfera della privatezza. Basti pensare all’abuso che se ne fa nel mondo del gossip, dove viene annunciato e sbattuto in prima pagina, soprattutto quando presunto; lo si svilisce facendolo divenire protagonista di aneddoti dove nessuna è l’attinenza. Troppo frequentemente snaturato anche in televisione, solo usato a fini di audience; travisando la sua essenza e diffondendo un’interpretazione viziata che non fa onore alla potenza di questo sentimento.
Molteplici sono le sue forme espressive ed i contesti ove si manifesta, ogni volta con effetto unicità e nuovo fascino: al di là che sia una realtà collettiva o individuale. E ognuno di noi può apportare qualcosa di inedito ed originale che va ad impreziosire il suo valore, esaltandolo sempre di più, come fosse una spirale che si autoalimenta.
Tutti trattano l’amore: i poveri, la chiesa, gli orientali, i ricchi, la politica, gli intellettuali, gli occidentali. Tutti lo attraversano, lo vivono, ci aspirano; almeno qualche volta nella propria vita. L’esperanto dei sentimenti, ma assai più diffuso. Tutti se ne illudono ma sempre meno lo rispettano.