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giovedì 12 maggio 2011
L'ansia
L ‘ansia ovvero il diritto di chiamarsi Nessuno
di Antonia Murgo - psicologa psicoterapeuta
E’ tempo di primavera. Tutto intorno a noi ci segnala l’arrivo di questa stagione, attesa con
trepidazione. Essa giunge e ci sottrae alla morsa dell’inverno, ci regala un senso di libertà
accendendo di colore il mondo che, fino a quel momento, era in bianco e nero. Eppure, nonostante
sia stata la speranza che, a volte, ci ha aiutato a superare i momenti più difficili di una stagione
inclemente, adesso che c’è il sole a scaldarci, che godiamo della luce che allunga le
giornate, non possiamo comunque eludere un’ inspiegabile senso di disagio, una non
meglio precisata forma di rifiuto o addirittura un vissuto di ansia, che colgono di sorpresa, prima di
tutto, chi li prova.
L’ansia si attiva nel momento in cui avvertiamo come potenzialmente pericoloso per la nostra
sopravvivenza, sia essa fisica o psicologica,una situazione o un evento.
Le cose si complicano quando lo stato di allarme si prolunga a tal punto da richiedere
ininterrottamente la nostra vigilanza, finché non strutturiamo un vissuto di
inadeguatezza e di impotenza, che va crescendo se il pericolo percepito risulta difficile da
riconoscere ed individuare.
Sappiamo che il corpo ,a volte, risponde al sopraggiungere della primavera attivando alcune
problematiche “psicosomatiche” come allergie, gastriti, dermatiti. Così anche sul piano
essenzialmente psicologico si palesano vissuti depressivi e ansiogeni che, durante l’ inverno,
apparivano ridimensionati. Invece, proprio quando ci sembra il momento migliore per
buttarci alle spalle le angosce esistenziali,queste, inspiegabilmente, bussano alla nostra porta tra i
prati in fiori e il canto degli uccellini, in uno stridente contrasto che ci fa chiedere: perché?
Perché ciò accade, ora che tutto dovrebbe essere più facile e leggero?
Cosa possiamo fare quando, come sempre più spesso avviene, ci sentiamo minacciati e dobbiamo
far fronte a vissuti così difficili e incontrollabili?
La prima- vera è la prima stagione dell’anno. Essa rappresenta, simbolicamente, la capacità di
rinascita e di resurrezione di tutte le forze vitali, dopo la morte rappresentata dal lungo inverno.
E’ la forza rigeneratrice della vita e della potenza insita in essa, che si palesa esprimendosi in tutte
le molteplici possibilità, dispiegando la propria energia trasformatrice su ogni cosa vitale.
Anche noi esseri umani subiamo il contraccolpo della carica energetica di questo stato nascente,
infatti ci capita di avvertire più stanchezza del solito e di sentirci meno brillanti ed efficienti.
Ma questi effetti li riconosciamo già e li attribuiamo, appunto, alla” primavera”.
Invece, quello che non riusciamo a capire è che possano acutizzarsi degli stati psicologici che con
la primavera sembrano non avere nulla da spartire: come ansie, depressioni,senso di
inadeguatezza e angosce.
Questo si spiega con il fatto che la primavera, come abbiamo detto, è la stagione della rinascita.
Ogni mito di rinascita, ogni rito di rinnovamento viene, da sempre, collocato in primavera, amplificandone così il contenuto innovatore , proprio di ogni stato nascente.
Essa, inoltre, è anche la stagione di transizione da uno stato, cioè l’inverno, ad un altro, ovvero l’estate, ed è in questi contenuti simbolici, sconosciuti alla nostra mente ma non altrettanto alla nostra psiche, che trovano spazio ed espressione quelle ansie ed angosce che fino a quel momento erano rimaste sopite.
I contenuti simbolici di trasformazione e transizione che la primavera porta con sé, sono criteri appartenenti alla vita, di cui l’essere umano è l’espressione centrale.
Quindi l’ansia, che si sveglia con la primavera, ci segnala il bisogno di cambiamento, come necessità improrogabile per ogni essere umano.
Morire e rinascere, transitando da uno stato all’altro, è il moto perpetuo, specifico della vita.
In effetti l’ansia giunge a suggerci un diverso modo di pensare a noi stessi e ci indica la resa al
cambiamento la necessità di cadenzare il passo all’unisono con la vita , perché fatti della medesima essenza.
L’ansia è un invito ad abbandonare le sicurezze di sempre, ad uscire dagli schemi rassicuranti della nostra esistenza, dal mondo preconfezionato che ci siamo cuciti addosso. Essa ci invita a cambiare pelle, ed è la risposta con la quale testimoniamo la nostra impossibilità a coincidere alla stessa impronta per sempre, a rispondere alle aspettative di quanti ci vogliono uguali all’idea che si sono fatti di noi, ma soprattutto all’idea che ci siamo fatti di noi stessi e che non intendiamo tradire in nome della paura. La paura di non essere più accettati, la paura del giudizio altrui, di essere lasciati soli, di sbagliare, di vedere crollare le nostre certezze e quel mondo rassicurante, che, ogni giorno, chiamiamo a testimoniare la nostra presenza.
La primavera non è altro che un rimando al cambiamento e alla trasformazione. L’ansia che si attiva è la prova della difficoltà a seguire questa indicazione, in nome di un’identità che temiamo possa andare perduta. Preserviamo noi stessi, ma quello che non sappiamo è che quella parte di noi che tentiamo di custodire gelosamente non ci appartiene più. Fino a quando non la lasceremo andare ci negheremo alla vita.
La vita, infatti, ci insegna che tutto fa parte di un grande ciclo. E’ necessario morire per rifondare il patto d’alleanza con la vita, perché il rifiuto di morire non diventi il rifiuto di vivere.
Allora, paralizzati davanti al senso della morte e nell’impossibilità di comprendere che essa non è separabile dalla vita, ci aggrappiamo a ciò che siamo, nell’illusione di poterci preservare e salvare.
Il corpo, con le problematiche psicosomatiche che si attivano in questo periodo dell’anno, ci segnala come questo progetto si collochi fuori dalla vita. D’altra parte, la nostra psiche, con il risvegliarsi dell’ansia e dell’angoscia, ci impone di lasciare morire il frammento di identità nella quale risolviamo le infinite possibilità di esistere, per ricominciare a navigare nel mare aperto della nostra vita.
Così, davanti a quell’unica possibilità che ci siamo dati e che sola riconosciamo, di fronte all’ansia incontrollabile, dobbiamo mettere in atto una strategia: praticare l’assenza da ciò che siamo o che ci costringiamo ad essere. Diciamoci: “io sono Nessuno”. Facciamo come Ulisse che disse a Polifemo di chiamarsi Nessuno, salvandosi dal Ciclope.
Io sono Nessuno e mi salvo dalla visione univoca che ho di me stesso, visione che mi rende schiavo e prigioniero di un identità che non mi appartiene più … e questo la mia ansia lo sa.
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