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giovedì 8 luglio 2010













Il tempo… perso
di Massimo Cipelletti

massimo.cipelletti@email.it

Il tempo è misura indiscussa, dinamicità irrefrenabile; percezione soggettiva. Molto si può fermare, rallentare e frenare ma non di certo esso. Ritma le nostre giornate, le più svariate realtà situazionali; si dice sia galantuomo e che con esso tutto passi. Ma chi scandisce il tempo percepito?
Non ce lo domandiamo così di frequente giacché siamo perpetuamente coinvolti nello stesso vortice temporale che ci risucchia senza concedere margine di riflessione e spazi ridotti di respiro intellettivo. Sia che si studi, che si lavori, piuttosto che si sia casalinghe o ci si impegni in altro: qualcosa ci assorbe quotidianamente e ci induce a dire: “devo dedicarmi del tempo”. Ma non sempre sappiamo bene – in quanto spesso lo crediamo ma non è veramente così – cosa vorremmo farne del cosiddetto tempo libero. Avremmo tutti da “fare” migliaia di faccende che usualmente non riusciamo addirittura nemmeno ad iniziare; ma si tratta di questioni puramente rituali, sottratte alla routine, in assenza di tempo: non sarebbe ugualmente un momento per noi stessi.

Se qualcuno, per assurdo, ci concedesse del tempo supplementare chiedendoci inoltre come gradiremmo usufruirne, tendenzialmente non sapremmo, a freddo, come rispondere. Al di là della comune e superficiale risposta: “se avessi tempo saprei sì cosa farmene”; di cui ci si riempie la bocca, poiché certi di poterne usufruire. E tutto questo – con le dovute eccezioni – perché?
Siamo assolutamente consueti ad organizzare la nostra giornata lavorativa, familiare e personale. Tutti gli avvenimenti che viviamo ci scandiscono i ritmi che dobbiamo rispettare per non essere in ritardo. Siamo oberati di commissioni e “cose da fare” che non potremmo mai vivere dei momenti, senza che essi non siano puntualmente e precisamente pianificati e preaccordati. Il caso non ha più margine di azione e terreno d’espressione, altrimenti si scivola nel ritardo. E ciò è vietato da una tabella di marcia che non permette tanto meno anticipi, altrimenti verrebbe meno alla sua funzione madre. Così si riducono, se non eliminano, anticipi e ritardi: ma verso chi?, esclusivamente verso la nostra giornata e la nostra realtà. Se usciamo dal programma, il meccanismo è a rischio inceppamento; l’inconveniente, gradevole o spiacevole, non fa più parte delle nostre situazioni. E con esso, va da sé, si riducono anche le emozioni. Quelle tipiche del tempo libero. A tal punto, ripetendomi, che se ne avessimo disponibilità di utilizzo, non ne possederemmo più le capacità di godimento.

Ma viviamo quindi degli spazi di tempo libero? Assolutamente sì; ma assurdamente, rigorosamente ed esclusivamente organizzati anch’essi. L’unica differenza rispetto alle nostre competenze di routine è che esso è pianificato e propostoci da terzi: ecco cos’è divenuto il nostro tempo libero. Un insieme di attimi gestiti, tanto quanto il resto della nostra giornata-tipo, ma da altri a nostro favore. Deleghiamo l’incombenza di pensare alla nostra libertà, a soggetti che ci pianificano i nostri spazi “vuoti”. Così ci garantiamo certamente un più elevata qualità dei momenti vissuti e perdiamo la capacità di riflettere per noi stessi e su noi stessi. Assoldiamo professionisti che lavorino per noi; una mentalità che è da tempo a regime e funziona così bene che ne siamo solo parzialmente consapevoli.
Pare che la libertà vera e propria talora ci pesi. Dobbiamo subito sostituirla con qualche impegno, suggeritoci dalla società del divertimento organizzato. I nostri hobby rischiano di essere vittime, in parte, di una tendenza del momento e non frutto di una passione o di una curiosità.
Rischiamo di andare in crociera seppur soffriamo di mal di mare o di risalire le scale di un grattacielo detestando i centri urbani. Questo non può nemmeno farci meditare, proprio perché è ciò che non vogliamo fare nel nostro caro ed amato spare time.
Diamo tempo al tempo.

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