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lunedì 5 luglio 2010

Futuro remoto


FUTURO REMOTO
Testo e foto di Ornella Trentin



Tornando a Schio, a distanza di mesi, resto sempre sorpresa dall’incalzante trasformazione del territorio, quasi irriconoscibile rispetto a pochi anni fa, ma anche dal moltiplicarsi vertiginoso delle pubblicazioni prodotte dagli autori locali. Come se lo stravolgimento accelerato impresso al luogo, fosse bilanciato da un lavoro sommesso, non meno inesorabile e articolato, di ricostruzione minuziosa dei riferimenti, con un passato ripescato fin nei minimi dettagli, che mette in risalto sempre nuove sfaccettature e voci. Folate di testimonianze e immagini risalgono in superficie come dopo un lungo sonno - forse necessario per riconsiderare con il dovuto distacco eventi troppo aspri e sovrapposti - attraverso autobiografie, romanzi, racconti, trasposizioni poetiche, ricostruzioni storiche, libri fotografici … opere diverse accomunate da una profonda, irrevocabile emozione.
Così, mentre i contorni familiari del paesaggio spariscono davanti agli occhi, le librerie aggiungono nuovi scaffali per fare spazio ai libri appena usciti, scritti dagli autori del posto, che vanno ridisegnando in un mosaico interiore il passato della Val Leogra. Un’espressione corale che sembra quasi rispondere a un accordo telepatico, e si va affermando, non a caso, dopo aver lasciato alle spalle un secolo con molti conti psichici ed emotivi rimasti in sospeso.

Il promettente Novecento, con lo straordinario impulso dato in Europa dalle scoperte scientifiche, dal fermento artistico, intellettuale e spirituale, fu caratterizzato per molti abitanti della Val Leogra (come per tanti altri italiani), da un esodo di massa, che costrinse a cercare altrove di che vivere quasi metà della popolazione italiana dell’epoca. Un’emigrazione durissima verso i continenti più lontani, di persone per lo più analfabete che non si erano mai allontanate dalla loro terra.
A chi rimase, purtroppo non andò molto meglio. Le cupe trincee del fronte italo-austriaco – durante la Prima Guerra Mondiale del 1915-18 - intristirono all’improvviso le montagne - quelle cime autorevoli che erano un tutt’uno con la tempra e la vitalità più genuine della loro gente, ricche di boschi, canaloni, guglie e sentieri selvatici, conosciuti in ben altro modo. Fu un uragano che travolse ogni cosa, compresi gli speroni rocciosi più compatti del Pasubio, fatti saltare con la dinamite.

Oltre al prezzo altissimo in vite umane tra i giovani soldati provenienti da ogni regione, che spazzò letteralmente via una generazione intera, migliaia furono, nel 1916, gli sfollati tra i civili (molti provenienti anche dall’Altopiano di Asiago e dalla Val d’Astico), costretti ad abbandonare precipitosamente tutto quello che avevano, e a peregrinare per anni in città lontane ed estranee, bistrattati, strappati da ogni riferimento e spesso separati anche dai propri familiari. Tanto furono messi a ferro e fuoco i monti, che ancora a distanza di quasi un secolo si trovano tracce di residui bellici sulle cime e intorno ai sentieri, celati tra i fiori e i cespugli d’alta quota.
Su un tale sfacelo, l’epidemia della “Spagnola”, tra il 1918-1919, ebbe effetti devastanti. A breve distanza, seguì la dittatura, che in meno di due decenni catapultò il Paese dritto verso la Seconda Guerra Mondiale del 1940-45, non meno rovinosa, e per giunta fratricida, particolarmente sofferta da queste parti fino all’ultimo, e anche dopo che le colonne tedesche si erano ritirate, seminando distruzione lungo le uniche vie di fuga verso il confine.
Negli anni Cinquanta, in un Paese - per assurdo - raso al suolo dai liberatori, di nuovo molti abitanti della valle si trovarono costretti ad emigrare. Qualcuno s’imbarcò verso le Americhe e l'Australia, molti raggiunsero i paesi europei più a nord, spesso per andare a lavorare nelle miniere e a vivere nelle baracche.
Un’eredità ingombrante, non c’è che dire, un vero e proprio choc collettivo, che ha lasciato molti segni e ha probabilmente mutato in parte sia il carattere delle persone (così si spiega forse una certa ruvida diffidenza, considerata “tipica” della gente di montagna), che l’energia dei luoghi, portando allo spasimo l’ossessione della sopravvivenza, con la paura costante di perdere tutto, di dover abbandonare tutto, un motivo insistente che ha piantato nella psiche un’ansia perenne, un’insicurezza, uno stare sempre sul Chi va là?, che nemmeno lo slancio generoso, energico e rincuorante della Ricostruzione, né il sollievo per la fine della guerra, dissiparono del tutto. Non bastò ad estinguerla l’espansione ottimistica del Boom economico, né l’euforia consumista degli anni Sessanta, non la cancellò il modesto benessere appena conquistato, sperimentato per la prima volta da coloro che avevano conosciuto per la maggior parte della loro vita fame, fatica e miseria. L’ansia era rimasta così a lungo in circolo nei sopravvissuti, tramandata diligentemente di generazione in generazione, che perfino il fiorire improvviso delle novità culturali, sociali e musicali degli anni Sessanta fu considerato all’inizio una minaccia, piuttosto che il bussare impetuoso della modernità. Poi, anche quegli anni divennero un lontano ricordo in bianco e nero, e una quantità incredibile di nuove abitudini e accessori tecnologici entrarono nell’uso quotidiano, al punto da rendercene (un po’ ingenuamente), schiavi. Tuttavia, nonostante gli innumerevoli aggiustamenti e cambiamenti dello stile di vita, seppure con un borbottio di sottofondo sempre più indistinto e impercettibile, molte paure sotterranee restarono là, nell’attesa implacabile di essere liberate.

Con un simile retroterra, è comprensibile che i drastici rovesciamenti economici di questi mesi rischino di far riemergere bruscamente i vecchi timori, risvegliando insicurezze sperimentate di persona, oppure ereditate dai propri antenati. Di fatto, la storia di un popolo passa attraverso le vicende dei nuclei familiari che lo compongono, in quel misterioso “sorteggio karmico” che mette insieme, con vincoli strettissimi, i componenti di una famiglia e i loro destini. Gli eventi bellici riassunti nei libri di Storia in due gelide righe, si traducevano nella realtà in rastrellamenti, case incendiate, smembramenti drammatici e improvvisi delle famiglie, deportazioni di figli, mariti, fratelli, spesso senza ritorno, bombardamenti e coprifuoco, viaggi terribili nei vagoni blindati, prigionia, umiliazioni, scarsità di cibo e notizie per periodi interminabili, tradimenti, il tutto vissuto simultaneamente da un numero di persone spropositato al punto, che ben pochi poterono parlarne trovando ascolto. Essere ancora vivi sembrava sufficiente, ma era improbabile che un tale fardello potesse essere alleggerito solo dal trascorrere del tempo, dalla buona volontà, né tantomeno da un accomodamento razionale. Lasciarlo veramente andare, richiede un atto cosciente di guarigione, per prendersi cura della paura sedimentata nell’animo.
Le difficoltà del presente di provvedere dignitosamente alle necessità materiali, sembrano in parte rimettere in scena un trauma già vissuto. Ciò potrebbe diventare peraltro l’occasione di una sia pur tardiva catarsi, per sgombrare il pensiero collettivo da molte ombre, facendo spazio alla creatività e genialità più feconde, alle soluzioni felici che potrebbero scaturire a un livello di coscienza più libero e spontaneo.

Tra gli strumenti di supporto che si sono rivelati efficaci per chiudere con grande beneficio i conti col passato, spiccano le "Costellazioni Familiari" di Bert Hellinger. E’ sorprendente come questo terapeuta di origine tedesca (o, come preferisce definirsi, “guaritore di anime”), ben al corrente della schiacciante eredità nazista del suo popolo, abbia individuato per soccorrerlo uno strumento terapeutico formidabile, in grado di dare sollievo, non solo a un individuo isolato, ma all'intera genealogia della sua famiglia, per disinnescare gli “irretimenti” - come li chiama Hellinger - che tengono spesso in ostaggio la vita dei discendenti. Il suo metodo si è diffuso, dapprima lentamente, anche in altri Paesi, e a giudicare dal crescente interesse riscosso negli ultimi anni in Italia, si direbbe quasi una forma di risarcimento per quanto fu sopportato in tempo di guerra durante l’occupazione tedesca.

Come testimoniano un numero impressionante di casi felicemente risolti per mezzo delle Costellazioni Familiari, molti problemi apparentemente insolubili spesso risentono, con evidenza inequivocabile, di episodi traumatici vissuti dai genitori, dai nonni o addirittura dai bisnonni durante le guerre. La descrizione dettagliata degli eventi e dei risvolti psicologici non sono necessari; anzi, durante la Costellazione le parole vengono utilizzate con estrema parsimonia: ciò che conta, per Bert Hellinger, sono i fatti, enunciati all’inizio dal soggetto trattato. Per “fatti” si intendono avvenimenti specifici a causa dei quali, non importa in qualche generazione, alcuni componenti della famiglia sono stati per qualche motivo esclusi. Oltre ai traumi bellici, come la “sindrome dei sopravvissuti”, gli eventi - tra gli altri - considerati rilevanti nel trattamento della Costellazione sono: suicidi, omicidi, perdita di genitori, figli o fratelli avvenuti in tenera età, sia nella linea genealogica paterna, che materna. Data la quantità di lutti ed ingiustizie causati dalla guerra, è inevitabile che essa ritorni assai spesso in scena.
Secondo Hellinger, la famiglia risponde a un ordine superiore, all’interno del quale ciascun componente ha uguale diritto di essere rispettato e onorato. Se il diritto di appartenenza viene sottratto anche a un solo individuo, la sua esclusione si ripercuote – con le problematiche più diverse - su altri componenti familiari, anche di generazioni successive. Il malessere causato da tale squilibrio continuerà a serpeggiare nel sistema familiare, reclamando giustizia. Tuttavia, se l’elemento escluso viene reinserito onorevolmente nel contesto della famiglia, riconosciuto ed accolto, il familiare che era stato inconsapevolmente coinvolto nell’irretimento, ne sarà immediatamente sollevato, e al tempo stesso ci sarà una distensione anche nel resto della famiglia.

Concretamente, la Costellazione Familiare si svolge attraverso un lavoro di gruppo guidato da un terapeuta. Il soggetto che affronta la propria tematica, dopo aver elencato gli eventi cruciali tra quelli indicati, è invitato a scegliere tra i presenti un rappresentante per ogni componente della sua famiglia e per se stesso. Dopo averli disposti in modo rapido ed istintivo al centro, affinché tutti possano vederli, resta ad osservare insieme agli altri spettatori ciò che succede. Anche se può sembrare strano, appena scelti e messi in relazione, i “rappresentanti”, pur non conoscendo i soggetti che stanno impersonando, rivelano nitidamente - con emozioni, sensazioni e gestualità - ciò che è rimasto in sospeso nella famiglia rappresentata. Da un loro minimo cenno, il terapeuta può afferrare il nesso decisivo per togliere un peso che grava, magari da generazioni, nel sistema familiare. A rotazione, il terapeuta interpella ciascuno dei “rappresentanti” che, a seconda di come si sentono, cominciano a muoversi nello spazio circostante. In base alle loro reazioni, espressioni e risposte – e a seconda del caso - il terapeuta sceglie tra gli spettatori alcuni altri elementi della famiglia. Di solito, appena essi si uniscono al gruppo familiare, le reazioni dei suoi componenti cambiano radicalmente. Infatti, appena gli esclusi vengono riaccolti nella famiglia, l’irretimento della persona che ne era stata inconsapevolmente coinvolta, svanisce. Immediatamente, il cambiamento positivo traspare in tutta evidenza dall’espressione e dall’aspetto del protagonista reale della Costellazione che, a quel punto, prima di concluderla, viene invitato talvolta a riprendere il suo posto, all’interno del contesto familiare finalmente pacificato.

Descrivere l’emozione che accompagna i partecipanti mentre si susseguono le storie familiari più incredibili, è praticamente impossibile, anche perché la soluzione disarmante dei casi più ardui oltrepassa qualsiasi spiegazione razionale. Ma chiunque abbia occasione di partecipare a una Costellazione Familiare, condotta da un terapeuta di valore, ne rimane toccato, sia che affronti la propria vicenda personale, che partecipi come rappresentante, oppure si limiti a osservare come spettatore. Tutto ciò potrebbe anche apparire inverosimile e meccanicistico, ma quando si prova di persona non è difficile ricredersi. Del resto, per quanto se ne possa parlare, nulla potrà essere emotivamente più persuasivo di un’ esperienza diretta.
Ritornando al presente, ho l’impressione che le sfide in corso rendano ancora più necessario mettersi nelle condizioni migliori per poter agire con lungimiranza. Alleggerendo, nel modo più adatto, i residui del passato, diventa più facile e appassionante assumere la responsabilità del proprio esistere, con un atteggiamento fiducioso e, perché no?, con un senso di ebbrezza e meraviglia, visto che siamo qui! Penso che solo con una tale energia sia possibile materializzare una vera prosperità, valorizzando le risorse più originali e creative di ogni essere umano, che sono la nostra ricchezza. E’ interessante notare come la parola “responsabilità”, sia stata spesso associata culturalmente, in particolare nel Veneto, a un senso quasi immediato di colpa, con tutti i suoi effetti distorti, quando invece “responsabile”, ha il significato ben più nobile e gioioso di “abile nel responso”. I paradossi dello stile di vita contemporaneo, i continui corto circuiti che la stanno rendendo quasi inagibile, possono sospingere verso soluzioni completamente inedite: reti solidali, economia di scambio, professioni essenziali e geniali, rispettose dell’ambiente, amore per la Terra tradotto con nuove idee, semplici e a basso costo, utilizzo di tecnologie con obiettivi sociali, cura delle relazioni, nuovi canali di divulgazione dell’arte … Un intero mondo da inventare, un punto di svolta degno dei pionieri più visionari, che hanno da sempre anticipato audacemente le nuove epoche, seguendo imperterriti i loro sogni.



Per saperne di più sulle Costellazioni Familiari :
“Riconoscere ciò che è”, Bert Hellinger - Gabriella ten Hövel, Edizioni Urrà, 2001

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